Queste avventure sono il frutto di una ottima famiglia di assai umili origini che con l’onestà e il lavoro mirava al riscatto sociale.
Per comprendere l’asprezza di alcuni atteggiamenti è opportuno rifarsi al periodo storico influenzato dal fascismo, per il quale l’ordine era stabilito dall’affermazione: “io voglio, posso e comando”.
Per quanto mi sforzi di ricercare nei meandri della memoria, mi è impossibile trovare una sola parola affettuosa da parte della mia famiglia.
Mia madre era ancora più cocciuta ed intransigente di mio padre. Qualunque cosa dicessi non trovava alcun riscontro.
Dopo il mio matrimonio il suo atteggiamento verso la mia famiglia, moglie e figli compresi, fu a dir poco disumano: né aiuti morali, né economici. Non voleva proprio saperne e aveva progettato di andarsene da Legnano senza avvisarmi, in modo da rompere completamente.
Mi fece mancare qualsiasi conforto morale in occasione di gravi disturbi di cui fui affetto come una sordità improvvisa all’orecchio destro e alla fine della sua vita rifiutò di vedermi al suo capezzale di morte.
Mia sorella fin da piccola aveva dimostrato gelosia ed odio verso di me. Solo mio padre confessò sul letto di morte all’allora mia fidanzata di aver sbagliato tutto con me. Probabilmente ero un figlio indesiderato.
Per quanto sembri incredibile, mia madre e mia sorella aspettavano con ansia che io morissi. Difatti qualche fattucchiera o cartomante aveva probabilmente detto loro che al momento della mia morte, mia sorella e suo figlio sarebbero andate negli Stati Uniti dove avrebbero avuto una grande fortuna.
Per ultima cosa ricordo il “ripudio” che mio padre aveva espresso nei miei confronti. “Tu non sei più mio figlio!”.
Possibile che la mia mente possa alterare così sfavorevolmente i miei ricordi verso i genitori?
Eppure mia madre e mia nonna mi difendevano dagli attacchi violenti di papà in occasione delle mie malattie. Lui pensava che fossero solo capricci e quindi andavano puniti con la morte e loro si frapponevano tra noi due.
Qualche bel ricordo ce l’ho anche di lui: un paio di sere d’inverno, mentre cadeva la neve mi ha portato al cinema a gustarmi Stanlio ed Onlio.
Voglio pensare di sbagliare e terrò costantemente vigile la mente con la speranza che qualche bel ricordo riaffiori.
Non credo di essere un santo, tuttavia continuo ad amare la famiglia nonostante tutto.
Qualcuno mi dice che vedo sempre rosa, azzurro ed i colori della felicità.
Sono dunque un pittore daltonico?.
Sotto il letto tengo dall’infanzia una piccola valigia di cartone dentro cui nascondevo foglietti di carta schizzati a penna. Erano lo sfogo proibito di una naturale e forte esigenza al racconto di situazioni familiari e non, situazioni che mi avevano particolarmente colpito.
Era uno sfogo non gradito ai miei e quindi non tollerato. Incomincerò a sfogliarli per ricordare. Alternerò senza un ordine preciso le situazioni che mi verranno in mente a quelle ispirate dai disegni.
Chiedo fin d’ora scusa se il linguaggio da me usato è piuttosto rozzo e volgare. Ha il pregio di corrispondere alla verità della vita assai lontana dalla delicatezza dei romanzi rosa.
Che cosa mi ha aiutato a vivere, lottare e magari vincere? L’amore per il bello, l’arte, le donne ed i motori.
Bruttina, piccolina, gambe esili, denti storti, mia madre aveva una grande arma: il sorriso.
Disprezzava il lavoro del padre, falegname. Disprezzava i fratelli operai. Verso i tredici o quattordici anni aveva avuto la sfortuna di assaporare il benessere e la superiorità sociale dei notai Manni di Verbania. Era solo una impiegatina e voleva evadere dal mondo di lavoro e povertà della famiglia d’origine. Si innamorò di un siciliano e non ascoltò i consigli dei parenti del lago. Quel siciliano aveva un carattere orrendo ma lei dimostrò di avere una testardaggine paurosa e sposò mio padre. Mia madre credeva di poter cambiare il carattere del marito come succedeva nei romanzi rosa. Non c’è dubbio che ne fosse innamorata, anche quando lui decise di arruolarsi nella milizia fascista e la lasciò con due figli e senza lavoro. Accettò la sfida e trovò da lavorare prima come operaia al Cotonificio Cantoni poi, grazie al fatto di saper leggere e scrivere, presso l’esattoria comunale di Legnano. Infatti mio padre aveva trasferito la famiglia nella città lombarda per essere lontano dai parenti del lago.
Mia madre aveva una salute molto cagionevole ma tirò dritto per tutta la guerra.
Dopo il 25 aprile del 1945, papà ritornò a casa dopo ben cinque anni di assenza.
Mia madre si prodigò per farlo riassumere come vigile urbano, benché lui, ex fascista, avesse subito la radiazione dal lavoro.
Ella, con la sua testardaggine, aveva cercato di risparmiare il più possibile privandomi di qualsiasi cosa che non fosse essenziale.
D’accordo con la nonna tentò anche di lasciarmi alle suore di Via Milazzo, che inorridite si rifiutarono.
Tutta la sua vita fu dedicata all’inseguimento di un sogno: fare di sua figlia Giuliana una donna professionalmente superiore e di conseguenza felice. Le cose furono facilitate dal fatto che mia sorella viveva solo per studiare ed aveva ottimi voti. Non era così per me, che ero attratto più dalla vita fuori casa che dai libri e desideravo intraprendere la strada dell’arte come pittore. Una cosa inaudita per quella famiglia piccolo borghese. Nel loro immaginario, i pittori erano degenerati, drogati, scansafatiche e quanto di peggio.
Mia sorella aveva avuto una carriera scolastica eccezionale e si aspettava che la vita premiasse tutti i suoi desideri.
Mentre io, più giovane di tre anni, terminato il liceo scientifico dovetti affrontare il servizio militare a Palermo, preoccupato di trovarmi poi un lavoro, mia madre e mia sorella vivevano forse il più lusinghiero dei successi: professoressa di belle lettere, laureata con lode e la specializzazione in sanscrito. Come insegnante lavorava presso l’istituto per l’avviamento al lavoro “Bernocchi” di Legnano. Qui conobbe un insegnante calabrese che si spacciava per ingegnere ed ex ufficiale di carriera. Mia sorella se ne innamorò e lo volle sposare. Invano io cercavo di avvertire la famiglia che questo individuo era uno spaccone, millantatore, capace solo di sbruffonate. Non era laureato ed era stato cacciato dall’esercito per “crudeltà”.
Tutto quanto già noto a mio padre per via del servizio informativo.
Però la famiglia si ostinava a considerarlo un ottimo partito.
Mio padre dichiarò che io non ero più suo figlio e che suo figlio era invece il professore. Anzi alla maniera siciliana, minacciò di uccidere tutti i membri della famiglia compreso il gatto, se Giuliana non avesse convolato a nozze con quell’individuo. Da parte mia ero convinto che tale matrimonio avesse come conseguenza un tragico fallimento: “ucciderà, farà morire tua figlia” dissi loro del tutto inascoltato. Devo fare una premessa: affinché mia sorella trovasse un marito, mia madre ci costringeva ogni sera a recitare lunghi rosari, tanto che io mi addormentavo. All'epoca il problema di trovar marito per le donne era la principale preoccupazione, come si evince anche dall’articolo “Le preghiere delle donne per trovar marito” di Mitì Vigliero apparso su Libero 24 aprile 2007 pag. 23. Tutto questo fin da bambini. Più avanti ci faceva visitare i Santuari della Lombardia, da Rho a Caravaggio.
Mentre a me negava anche i soldi per la cicca americana, spendeva tutto quanto aveva a disposizione in cuori d’argento da donare in particolare alla Sacra Famiglia.
I miei avevano avuto sempre la mania degli indovini, chiromanti, astrologhi, cartomanti. In quel periodo dilapidarono una fortuna con tutti i ciarlatani sparsi da Milano a Magenta, in compagnia di una studentessa di canto lirico anche lei ossessionata dall’idea che gli indovini indicassero un futuro di successo. Io facevo da autista ed aspettavo che le donne terminassero l’incontro con i ciarlatani.
Nel frattempo colui che sarebbe diventato mio cognato, riempiva mia madre di regali: grandi mazzi di fiori freschi, cioccolatini e tutto ciò che può lusingare le donne.
“Ah, si che lui è un gentiluomo! Giuliana sei proprio fortunata!”.
In realtà il professore lasciava il conto da pagare a mio padre che regolarmente era inseguito dai creditori. Ma tutto ciò non insospettiva la famiglia che continuava a riempirsi la bocca con i conoscenti che mia sorella avrebbe sposato nientemeno che un “professore”. Questa è la conferma di una famiglia onesta ma ingenua che non sapeva distinguere fra sogno e realtà. Lui era semplicemente un incaricato e non di ruolo per insegnare a futuri operai come adoperare gli attrezzi di lavoro, ad esempio una sega meccanica o un cacciavite.
Nel contempo la mia famiglia esultava per il “professore” e mostrava il più assoluto disprezzo per me, che ero considerato un fallito ed ignoravano le mie sofferenze ed angosce. Sono sicuro che se la legge l’avesse concesso mi avrebbero fatto rinchiudere in qualche manicomio come degenerato e disonore della famiglia.
Si arrivò così alle nozze costose e favolose come quelle di una principessa, tutto a carico della mia famiglia poiché il “professore” non aveva il becco di in quattrino. Tutto quello che la fantasia può immaginare fu fatto.
Auto nuove, una dietro l’altra e poi abbandonate, fasti inimmaginabili e dopo nove mesi un bambino.
Questo fu il momento della verità: mio cognato si rifiutò di andare in clinica a vedere il neonato e da quel momento fu la tragedia.
Mia madre riempì di fiori bianchi, a cesti, la camera della clinica e mi obbligò a portare fiori a mia sorella. Non avevo un quattrino perché lei maneggiava anche i miei guadagni.
Da quel momento il professore cercò il trasferimento che gli fu concesso a La Spezia.
Lascio immaginare le lacrime di mia sorella che non si riprese più fino a sfiorare la follia.
Allora non esisteva il divorzio e nemmeno si prospettava la possibilità di una ricomposizione familiare.
Lui si era allontanato dalla famiglia per ragioni di lavoro e si era anche trovato un’amante con cui convivere.
I miei avevano fatto spese pazze per questo matrimonio, compreso l’acquisto di un appartamento. Avevano comperato a caro prezzo il marito a Giuliana ed ora dovevano pagare per evitare che il professore esigesse la patria potestà che ormai consideravano deleteria vista l’inaffidabilità della persona.
A nulla valgono l’oro e l’argento regalato ai santi ed ai preti sotto forma di “cuori” e nemmeno tutte le loro preghiere se non si conosce il mondo che ci circonda. In esso c’è chi è a caccia di prede per necessità oppure per soddisfare una impellente necessità. Le donne sono la fortuna o la sfortuna di una famiglia. Il loro buon senso fa la differenza. Invece esse sognano e credono che i sogni siano la realtà.
Ferita nell’orgoglio, sorpresa dalla realtà, mia sorella sarebbe finita molto male se mia madre non si fosse dedicata esclusivamente a lei cercando di minimizzare. Ciò ha comportato l’esclusione dei miei interessi. Il fatto che l’orgoglio e l’ambizione di una madre, sia frustrato per l’insuccesso del matrimonio della figlia, non giustifica l’atteggiamento negativo nei confronti del figlio.
Io nel frattempo avevo trovato lavoro come viaggiatore per conto della ditta Bassetti ed incominciai a vivere lontano dalla famiglia: fu la mia salvezza.
Mi sposai e la famiglia mi negò qualsiasi sostegno anche economico.
Ciò nonostante per me era incominciata la vera vita, anche se mia madre e mia sorella scaricavano su di me e mia moglie tutto l’odio di donne frustrate.
L’odio più becero non può essere immaginato.
Per negare qualsiasi aiuto al figlio minore, la madre “madonna” ha diffuso la menzogna che il maschio aveva sperperato tutti i soldi della famiglia con donnine allegre e che avrebbe offerto loro pranzi e cene dall’antipasto al dolce. Soggiorni in alberghi lussuosi. Per la cocente delusione madre e figlia sono state ridotte dalla paranoia a mentire spudoratamente.
Una delle cause dell’innamoramento da parte della famiglia di questo sbruffone così detto “ingegnere” stava nel fatto che si presentava come iscritto e sostenitore della fiamma tricolore e si comportava da autentico nazista. Il sottoscritto era considerato di sinistra e quindi politicamente scorretto.
Dopo il battesimo nel quale fui il padrino, le cose precipitarono.
Tuttavia avevo il mio lavoro e la mia famiglia.
Fui in Toscana, a Roma e nel Veneto e a Milano.
ELENCO PROBABILI TITOLI
ODIARE PER VIVERE
COGNATO E MAGHI
RICORDI DI VITA
IL MARITO BELLO E LA MAMMA AMBIZIOSA
L’ERBA VOGLIO NON CRESCE NEANCHE NEL GIARDINO DEL RE
SOLO BASTONE, NIENTE CAROTA
L’INVIDIA DELLE DONNE
IL DIAVOLO CI METTE LA CODA (LA TRAGEDIA DELLA GELOSIA FEMMINILE)
PENSIERINI IN VALIGIA
RICORDI IN VALIGIA
LA VALIGIA DEI RICORDI
UN DIARIO IN VALIGIA
AMOR DI MAMMA
IL PITTORE DALTONICO
LA MAMMA AMBIZIOSA
UNA MAMMA PER BENE
UN FIGLIO DA BUTTARE
UN AMORE FOLLE
FOLLIA D'AMORE
AMORE MALEDETTO
CUORI E ARGENTO
AMORE, AMORE!
UNA CAREZZA NON RICEVUTA DESIDERATA, SOGNATA, MAI AVUTA
UNA CAREZZA POCO ROSA
IL MARITO BELLO
IL MARITO DELLA PROFESSORESSA
IL MARITO PROFESSORE
VIVA LE DONNE
Io, Pier Andrea Vaccaro ho esperimentato con gravi pene cosa significa “la patria potestà”, cioè il potere assoluto della famiglia nei confronti di un figlio.
I genitori non preparati alla vita, presuntuosi e coercitivi, inseguendo i loro ideali sociali e di emancipazione, senza un controllo delle loro azioni ma convinti di agire al meglio e con la totale approvazione della chiesa e dello stato, opprimono, torturano moralmente sia con restrizioni e punizioni, abusando di insulti, castighi e minacce di morte. Per fortuna non tutti i genitori sono come i miei ed io ne ho conosciuti alcuni veramente esemplari, anche tra le classi più umili. I miei hanno agito convinti di fare il mio bene. Mi hanno privato di ogni giocattolo, di qualsiasi soddisfazione, tranne il nutrimento fin troppo abbondante per il periodo storico con costanti minacce di botte ed offese d’ogni genere obbligandomi a mangiare cose a me indigeste e ripugnanti come cipolle, porri, verze che mi costringevano a vomitare. Non hanno mai tenuto in conto la mia fragilità e la mia natura , molto differente da quella di mia sorella, che veniva costantemente elogiata per i bei voti a scuola e perché rimaneva tranquilla in casa a studiare. Veniva anche nutrita con cibi migliori come, quando fu possibile, la parte magra del prosciutto, riservando a me solo la parte grassa. Io desideravo giocare con gli altri bambini del cortile, amavo correre all’ aria aperta, affrontare le sfide tipiche dell’infanzia oppure giocare con qualche giocattolo, pur misero. Mio padre arrivava a legarmi alle gambe del tavolo della cucina per obbligarmi a studiare. La mia natura era portata all’arte ed avrei desiderato seguire questa vocazione sempre contrastata al fine di impormi tipo di studi e poi di lavoro graditi a loro. Pretendevano da me risultati sempre massimi senza concedermi nulla. Una promozione scolastica con la media del sette, veniva ricompensata con calci , offese e scaraventato giù dalle scale. Sono più che certo che la famiglia era convinta di agire per il mio bene ma realmente mi creavano depressione. Io ero combattuto dall’amore per la pittura, che coltivavo quasi di nascosto: testimoni i signori Belloni, nella cui soffitta mi lasciavano dipingere. Verso i sedici anni, vendendo un quadro piuttosto grande, con soggetto la piazza di S.Magno, realizzai una somma di denaro sufficiente all’acquisto di un motorino motom 48 c.c., con il quale feci due incidenti stradali piuttosto gravi. Dovettero ricoverarmi all’ospedale per parecchio tempo. Rimasi indietro nelle lezioni ed in quinta liceo fui bocciato. In questo periodo entrai in depressione e la famiglia non cambiò assolutamente atteggiamento. Inutilmente cercavo di convincere che la mia strada non sarebbe mai stata quella che loro volevano io percorressi: ad ogni mia lamentazione rispondevano deridendomi e facendo insinuazioni lontane dalla realtà: secondo loro la mia depressione era simulata perché ero un mascalzone , lavativo, che non voleva fare niente. Anzi, io avrei dovuto somigliare all’attore James Dean! Mi pareva di essere prigioniero in un cilindro di vetro che mi costringeva ad essere ignorato qualsiasi cosa dicessi. Intorno a me incomprensione e durezza di cuore, mentre continuavano le lodi e gli apprezzamenti per mia sorella. Finalmente riuscii a diplomarmi e cercai subito lavoro, presso la ditta Gianazza di Legnano ma tutti gli stipendi mi venivano sequestrati da mia madre che più avanti negli anni mi accusò di aver scialacquato i soldi di famiglia con le puttane. Andai a militare a Palermo e la famiglia mi negò qualsiasi aiuto economico affermando che l’esercito era padre, madre, nonno e zia e che avrebbe provveduto alle mie necessità. Non fu così e patii la fame. Mi salvai solo facendo ritratti ai commilitoni che mi pagavano mille e cinquecento lire al foglio per cui riuscivo a cenare al ristorante, nei pressi dei quattro cantoni, in centro a Palermo, tutte le volte che riuscivo ad uscire dalla caserma Scianna. La mia depressione era aumentata, anche perché non avevo un futuro dinanzi a me. Ritornato a casa, trovai il mio posto di lavoro occupato da altri e dovetti cercare disperatamente lavoro. Nel frattempo mia sorella si era laureata con ottimi voti alla facoltà di lettere antiche presso l’Università Statale di Milano. I continui complimenti della famiglia per i suoi successi scolastici l’avevano convinta nel profondo della sua anima che oramai la vita dovesse renderla felice, accontentando tutti i suoi desideri come un bellissimo marito che la stimasse ed amasse profondamente. Giuliana non era assolutamente preparata alle delusioni: tutti i suoi desideri dovevano realizzarsi! Si innamorò di uno spaccone calabrese che si spacciava laureato in ingegneria nonché ufficiale di carriera a Pinerolo nella cavalleria meccanizzata e faceva l’insegnante di materie tecniche presso l’istituto tecnico Bernocchi di Legnano. Inutile dire che la mia famiglia ne fu entusiasta. Mia madre ne era innamorata e mio padre così fiero da ripudiarmi come figlio affermando che suo figlio era il fantastico professore. Una caratteristica di costui che non insospettì mai i miei era quella di fare continui omaggi di fiori a mia madre, lasciando da pagare il conto a mio padre. Lo stesso avveniva con l’invito in pizzeria a tutti i suoi conoscenti occasionali, che approfittavano per magiare e bere, lasciando poi il conto da pagare a mio padre. In pratica pagavano tutti suoi capricci compreso automobili che poi toccava a me tentare di vendere per ricavare qualche soldo. Secondo me, questo signore si era fatto vestire da capo ai piedi ed aveva approfittato della ingenuità dei miei. Ho tentato più volte di informare la mia famiglia che questa persona non era adatta per mia sorella e l’avrebbe portata in una situazione di grande malessere ma non mi hanno mai ascoltato. Non prendevano nemmeno le mie difese quando costui diceva che ero un fallito. Solo qualche volta mia sorella tentava di difendermi. Nonostante tutto ciò la famiglia è andata per la sua strada non tenendo conto mai dei miei consigli. Dopo il faraonico matrimonio alla siciliana, incominciarono i guai.. sfociando in un fatto veramente significativo: rifiutarsi di andare a vedere il figlio appena nato tra la disperazione della famiglia ed in particolare di mia sorella, che da quel momento cadde in una profonda crisi depressiva che la accompagna tuttora. Io feci da padrino al battesimo ed i coniugi dopo poco tempo si separarono perché il magico professore abbandonò la famiglia trasferendosi a La Spezia con la scusa che era stato trasferito d’ufficio. I miei pagarono anche il suo allontanamento, regalandogli una Ford Consul, rinunciando anche agli alimenti per il figlio, che del resto quel signore non avrebbe mai pagato. Da quel momento mia madre e mia sorella se la presero con me, odiandomi a morte perché ero maschio e capro espiatorio. Quando mi sposai a Padova con una giovane bella e forte non vollero contribuire alle spese di matrimonio salvo pagare una fattura di qualche modesto importo elencando anche il costo di uno spazzolino per raccogliere i rifiuti. Così vanno le cose del mondo ed io sono convinto che lo stato dovrebbe intervenire con qualche provvedimento per limitare lo strapotere della famiglia, facendo rispettare anche i diritti di quei figli con aspirazioni diverse da quelle dei genitori. Solo mio padre in punto di morte riconobbe di aver sbagliato tutto con me.
Per comprendere l’asprezza di alcuni atteggiamenti è opportuno rifarsi al periodo storico influenzato dal fascismo, per il quale l’ordine era stabilito dall’affermazione: “io voglio, posso e comando”.
Per quanto mi sforzi di ricercare nei meandri della memoria, mi è impossibile trovare una sola parola affettuosa da parte della mia famiglia.
Mia madre era ancora più cocciuta ed intransigente di mio padre. Qualunque cosa dicessi non trovava alcun riscontro.
Dopo il mio matrimonio il suo atteggiamento verso la mia famiglia, moglie e figli compresi, fu a dir poco disumano: né aiuti morali, né economici. Non voleva proprio saperne e aveva progettato di andarsene da Legnano senza avvisarmi, in modo da rompere completamente.
Mi fece mancare qualsiasi conforto morale in occasione di gravi disturbi di cui fui affetto come una sordità improvvisa all’orecchio destro e alla fine della sua vita rifiutò di vedermi al suo capezzale di morte.
Mia sorella fin da piccola aveva dimostrato gelosia ed odio verso di me. Solo mio padre confessò sul letto di morte all’allora mia fidanzata di aver sbagliato tutto con me. Probabilmente ero un figlio indesiderato.
Per quanto sembri incredibile, mia madre e mia sorella aspettavano con ansia che io morissi. Difatti qualche fattucchiera o cartomante aveva probabilmente detto loro che al momento della mia morte, mia sorella e suo figlio sarebbero andate negli Stati Uniti dove avrebbero avuto una grande fortuna.
Per ultima cosa ricordo il “ripudio” che mio padre aveva espresso nei miei confronti. “Tu non sei più mio figlio!”.
Possibile che la mia mente possa alterare così sfavorevolmente i miei ricordi verso i genitori?
Eppure mia madre e mia nonna mi difendevano dagli attacchi violenti di papà in occasione delle mie malattie. Lui pensava che fossero solo capricci e quindi andavano puniti con la morte e loro si frapponevano tra noi due.
Qualche bel ricordo ce l’ho anche di lui: un paio di sere d’inverno, mentre cadeva la neve mi ha portato al cinema a gustarmi Stanlio ed Onlio.
Voglio pensare di sbagliare e terrò costantemente vigile la mente con la speranza che qualche bel ricordo riaffiori.
Non credo di essere un santo, tuttavia continuo ad amare la famiglia nonostante tutto.
Qualcuno mi dice che vedo sempre rosa, azzurro ed i colori della felicità.
Sono dunque un pittore daltonico?.
Sotto il letto tengo dall’infanzia una piccola valigia di cartone dentro cui nascondevo foglietti di carta schizzati a penna. Erano lo sfogo proibito di una naturale e forte esigenza al racconto di situazioni familiari e non, situazioni che mi avevano particolarmente colpito.
Era uno sfogo non gradito ai miei e quindi non tollerato. Incomincerò a sfogliarli per ricordare. Alternerò senza un ordine preciso le situazioni che mi verranno in mente a quelle ispirate dai disegni.
Chiedo fin d’ora scusa se il linguaggio da me usato è piuttosto rozzo e volgare. Ha il pregio di corrispondere alla verità della vita assai lontana dalla delicatezza dei romanzi rosa.
Che cosa mi ha aiutato a vivere, lottare e magari vincere? L’amore per il bello, l’arte, le donne ed i motori.
Bruttina, piccolina, gambe esili, denti storti, mia madre aveva una grande arma: il sorriso.
Disprezzava il lavoro del padre, falegname. Disprezzava i fratelli operai. Verso i tredici o quattordici anni aveva avuto la sfortuna di assaporare il benessere e la superiorità sociale dei notai Manni di Verbania. Era solo una impiegatina e voleva evadere dal mondo di lavoro e povertà della famiglia d’origine. Si innamorò di un siciliano e non ascoltò i consigli dei parenti del lago. Quel siciliano aveva un carattere orrendo ma lei dimostrò di avere una testardaggine paurosa e sposò mio padre. Mia madre credeva di poter cambiare il carattere del marito come succedeva nei romanzi rosa. Non c’è dubbio che ne fosse innamorata, anche quando lui decise di arruolarsi nella milizia fascista e la lasciò con due figli e senza lavoro. Accettò la sfida e trovò da lavorare prima come operaia al Cotonificio Cantoni poi, grazie al fatto di saper leggere e scrivere, presso l’esattoria comunale di Legnano. Infatti mio padre aveva trasferito la famiglia nella città lombarda per essere lontano dai parenti del lago.
Mia madre aveva una salute molto cagionevole ma tirò dritto per tutta la guerra.
Dopo il 25 aprile del 1945, papà ritornò a casa dopo ben cinque anni di assenza.
Mia madre si prodigò per farlo riassumere come vigile urbano, benché lui, ex fascista, avesse subito la radiazione dal lavoro.
Ella, con la sua testardaggine, aveva cercato di risparmiare il più possibile privandomi di qualsiasi cosa che non fosse essenziale.
D’accordo con la nonna tentò anche di lasciarmi alle suore di Via Milazzo, che inorridite si rifiutarono.
Tutta la sua vita fu dedicata all’inseguimento di un sogno: fare di sua figlia Giuliana una donna professionalmente superiore e di conseguenza felice. Le cose furono facilitate dal fatto che mia sorella viveva solo per studiare ed aveva ottimi voti. Non era così per me, che ero attratto più dalla vita fuori casa che dai libri e desideravo intraprendere la strada dell’arte come pittore. Una cosa inaudita per quella famiglia piccolo borghese. Nel loro immaginario, i pittori erano degenerati, drogati, scansafatiche e quanto di peggio.
Mia sorella aveva avuto una carriera scolastica eccezionale e si aspettava che la vita premiasse tutti i suoi desideri.
Mentre io, più giovane di tre anni, terminato il liceo scientifico dovetti affrontare il servizio militare a Palermo, preoccupato di trovarmi poi un lavoro, mia madre e mia sorella vivevano forse il più lusinghiero dei successi: professoressa di belle lettere, laureata con lode e la specializzazione in sanscrito. Come insegnante lavorava presso l’istituto per l’avviamento al lavoro “Bernocchi” di Legnano. Qui conobbe un insegnante calabrese che si spacciava per ingegnere ed ex ufficiale di carriera. Mia sorella se ne innamorò e lo volle sposare. Invano io cercavo di avvertire la famiglia che questo individuo era uno spaccone, millantatore, capace solo di sbruffonate. Non era laureato ed era stato cacciato dall’esercito per “crudeltà”.
Tutto quanto già noto a mio padre per via del servizio informativo.
Però la famiglia si ostinava a considerarlo un ottimo partito.
Mio padre dichiarò che io non ero più suo figlio e che suo figlio era invece il professore. Anzi alla maniera siciliana, minacciò di uccidere tutti i membri della famiglia compreso il gatto, se Giuliana non avesse convolato a nozze con quell’individuo. Da parte mia ero convinto che tale matrimonio avesse come conseguenza un tragico fallimento: “ucciderà, farà morire tua figlia” dissi loro del tutto inascoltato. Devo fare una premessa: affinché mia sorella trovasse un marito, mia madre ci costringeva ogni sera a recitare lunghi rosari, tanto che io mi addormentavo. All'epoca il problema di trovar marito per le donne era la principale preoccupazione, come si evince anche dall’articolo “Le preghiere delle donne per trovar marito” di Mitì Vigliero apparso su Libero 24 aprile 2007 pag. 23. Tutto questo fin da bambini. Più avanti ci faceva visitare i Santuari della Lombardia, da Rho a Caravaggio.
Mentre a me negava anche i soldi per la cicca americana, spendeva tutto quanto aveva a disposizione in cuori d’argento da donare in particolare alla Sacra Famiglia.
I miei avevano avuto sempre la mania degli indovini, chiromanti, astrologhi, cartomanti. In quel periodo dilapidarono una fortuna con tutti i ciarlatani sparsi da Milano a Magenta, in compagnia di una studentessa di canto lirico anche lei ossessionata dall’idea che gli indovini indicassero un futuro di successo. Io facevo da autista ed aspettavo che le donne terminassero l’incontro con i ciarlatani.
Nel frattempo colui che sarebbe diventato mio cognato, riempiva mia madre di regali: grandi mazzi di fiori freschi, cioccolatini e tutto ciò che può lusingare le donne.
“Ah, si che lui è un gentiluomo! Giuliana sei proprio fortunata!”.
In realtà il professore lasciava il conto da pagare a mio padre che regolarmente era inseguito dai creditori. Ma tutto ciò non insospettiva la famiglia che continuava a riempirsi la bocca con i conoscenti che mia sorella avrebbe sposato nientemeno che un “professore”. Questa è la conferma di una famiglia onesta ma ingenua che non sapeva distinguere fra sogno e realtà. Lui era semplicemente un incaricato e non di ruolo per insegnare a futuri operai come adoperare gli attrezzi di lavoro, ad esempio una sega meccanica o un cacciavite.
Nel contempo la mia famiglia esultava per il “professore” e mostrava il più assoluto disprezzo per me, che ero considerato un fallito ed ignoravano le mie sofferenze ed angosce. Sono sicuro che se la legge l’avesse concesso mi avrebbero fatto rinchiudere in qualche manicomio come degenerato e disonore della famiglia.
Si arrivò così alle nozze costose e favolose come quelle di una principessa, tutto a carico della mia famiglia poiché il “professore” non aveva il becco di in quattrino. Tutto quello che la fantasia può immaginare fu fatto.
Auto nuove, una dietro l’altra e poi abbandonate, fasti inimmaginabili e dopo nove mesi un bambino.
Questo fu il momento della verità: mio cognato si rifiutò di andare in clinica a vedere il neonato e da quel momento fu la tragedia.
Mia madre riempì di fiori bianchi, a cesti, la camera della clinica e mi obbligò a portare fiori a mia sorella. Non avevo un quattrino perché lei maneggiava anche i miei guadagni.
Da quel momento il professore cercò il trasferimento che gli fu concesso a La Spezia.
Lascio immaginare le lacrime di mia sorella che non si riprese più fino a sfiorare la follia.
Allora non esisteva il divorzio e nemmeno si prospettava la possibilità di una ricomposizione familiare.
Lui si era allontanato dalla famiglia per ragioni di lavoro e si era anche trovato un’amante con cui convivere.
I miei avevano fatto spese pazze per questo matrimonio, compreso l’acquisto di un appartamento. Avevano comperato a caro prezzo il marito a Giuliana ed ora dovevano pagare per evitare che il professore esigesse la patria potestà che ormai consideravano deleteria vista l’inaffidabilità della persona.
A nulla valgono l’oro e l’argento regalato ai santi ed ai preti sotto forma di “cuori” e nemmeno tutte le loro preghiere se non si conosce il mondo che ci circonda. In esso c’è chi è a caccia di prede per necessità oppure per soddisfare una impellente necessità. Le donne sono la fortuna o la sfortuna di una famiglia. Il loro buon senso fa la differenza. Invece esse sognano e credono che i sogni siano la realtà.
Ferita nell’orgoglio, sorpresa dalla realtà, mia sorella sarebbe finita molto male se mia madre non si fosse dedicata esclusivamente a lei cercando di minimizzare. Ciò ha comportato l’esclusione dei miei interessi. Il fatto che l’orgoglio e l’ambizione di una madre, sia frustrato per l’insuccesso del matrimonio della figlia, non giustifica l’atteggiamento negativo nei confronti del figlio.
Io nel frattempo avevo trovato lavoro come viaggiatore per conto della ditta Bassetti ed incominciai a vivere lontano dalla famiglia: fu la mia salvezza.
Mi sposai e la famiglia mi negò qualsiasi sostegno anche economico.
Ciò nonostante per me era incominciata la vera vita, anche se mia madre e mia sorella scaricavano su di me e mia moglie tutto l’odio di donne frustrate.
L’odio più becero non può essere immaginato.
Per negare qualsiasi aiuto al figlio minore, la madre “madonna” ha diffuso la menzogna che il maschio aveva sperperato tutti i soldi della famiglia con donnine allegre e che avrebbe offerto loro pranzi e cene dall’antipasto al dolce. Soggiorni in alberghi lussuosi. Per la cocente delusione madre e figlia sono state ridotte dalla paranoia a mentire spudoratamente.
Una delle cause dell’innamoramento da parte della famiglia di questo sbruffone così detto “ingegnere” stava nel fatto che si presentava come iscritto e sostenitore della fiamma tricolore e si comportava da autentico nazista. Il sottoscritto era considerato di sinistra e quindi politicamente scorretto.
Dopo il battesimo nel quale fui il padrino, le cose precipitarono.
Tuttavia avevo il mio lavoro e la mia famiglia.
Fui in Toscana, a Roma e nel Veneto e a Milano.
ELENCO PROBABILI TITOLI
ODIARE PER VIVERE
COGNATO E MAGHI
RICORDI DI VITA
IL MARITO BELLO E LA MAMMA AMBIZIOSA
L’ERBA VOGLIO NON CRESCE NEANCHE NEL GIARDINO DEL RE
SOLO BASTONE, NIENTE CAROTA
L’INVIDIA DELLE DONNE
IL DIAVOLO CI METTE LA CODA (LA TRAGEDIA DELLA GELOSIA FEMMINILE)
PENSIERINI IN VALIGIA
RICORDI IN VALIGIA
LA VALIGIA DEI RICORDI
UN DIARIO IN VALIGIA
AMOR DI MAMMA
IL PITTORE DALTONICO
LA MAMMA AMBIZIOSA
UNA MAMMA PER BENE
UN FIGLIO DA BUTTARE
UN AMORE FOLLE
FOLLIA D'AMORE
AMORE MALEDETTO
CUORI E ARGENTO
AMORE, AMORE!
UNA CAREZZA NON RICEVUTA DESIDERATA, SOGNATA, MAI AVUTA
UNA CAREZZA POCO ROSA
IL MARITO BELLO
IL MARITO DELLA PROFESSORESSA
IL MARITO PROFESSORE
VIVA LE DONNE
Io, Pier Andrea Vaccaro ho esperimentato con gravi pene cosa significa “la patria potestà”, cioè il potere assoluto della famiglia nei confronti di un figlio.
I genitori non preparati alla vita, presuntuosi e coercitivi, inseguendo i loro ideali sociali e di emancipazione, senza un controllo delle loro azioni ma convinti di agire al meglio e con la totale approvazione della chiesa e dello stato, opprimono, torturano moralmente sia con restrizioni e punizioni, abusando di insulti, castighi e minacce di morte. Per fortuna non tutti i genitori sono come i miei ed io ne ho conosciuti alcuni veramente esemplari, anche tra le classi più umili. I miei hanno agito convinti di fare il mio bene. Mi hanno privato di ogni giocattolo, di qualsiasi soddisfazione, tranne il nutrimento fin troppo abbondante per il periodo storico con costanti minacce di botte ed offese d’ogni genere obbligandomi a mangiare cose a me indigeste e ripugnanti come cipolle, porri, verze che mi costringevano a vomitare. Non hanno mai tenuto in conto la mia fragilità e la mia natura , molto differente da quella di mia sorella, che veniva costantemente elogiata per i bei voti a scuola e perché rimaneva tranquilla in casa a studiare. Veniva anche nutrita con cibi migliori come, quando fu possibile, la parte magra del prosciutto, riservando a me solo la parte grassa. Io desideravo giocare con gli altri bambini del cortile, amavo correre all’ aria aperta, affrontare le sfide tipiche dell’infanzia oppure giocare con qualche giocattolo, pur misero. Mio padre arrivava a legarmi alle gambe del tavolo della cucina per obbligarmi a studiare. La mia natura era portata all’arte ed avrei desiderato seguire questa vocazione sempre contrastata al fine di impormi tipo di studi e poi di lavoro graditi a loro. Pretendevano da me risultati sempre massimi senza concedermi nulla. Una promozione scolastica con la media del sette, veniva ricompensata con calci , offese e scaraventato giù dalle scale. Sono più che certo che la famiglia era convinta di agire per il mio bene ma realmente mi creavano depressione. Io ero combattuto dall’amore per la pittura, che coltivavo quasi di nascosto: testimoni i signori Belloni, nella cui soffitta mi lasciavano dipingere. Verso i sedici anni, vendendo un quadro piuttosto grande, con soggetto la piazza di S.Magno, realizzai una somma di denaro sufficiente all’acquisto di un motorino motom 48 c.c., con il quale feci due incidenti stradali piuttosto gravi. Dovettero ricoverarmi all’ospedale per parecchio tempo. Rimasi indietro nelle lezioni ed in quinta liceo fui bocciato. In questo periodo entrai in depressione e la famiglia non cambiò assolutamente atteggiamento. Inutilmente cercavo di convincere che la mia strada non sarebbe mai stata quella che loro volevano io percorressi: ad ogni mia lamentazione rispondevano deridendomi e facendo insinuazioni lontane dalla realtà: secondo loro la mia depressione era simulata perché ero un mascalzone , lavativo, che non voleva fare niente. Anzi, io avrei dovuto somigliare all’attore James Dean! Mi pareva di essere prigioniero in un cilindro di vetro che mi costringeva ad essere ignorato qualsiasi cosa dicessi. Intorno a me incomprensione e durezza di cuore, mentre continuavano le lodi e gli apprezzamenti per mia sorella. Finalmente riuscii a diplomarmi e cercai subito lavoro, presso la ditta Gianazza di Legnano ma tutti gli stipendi mi venivano sequestrati da mia madre che più avanti negli anni mi accusò di aver scialacquato i soldi di famiglia con le puttane. Andai a militare a Palermo e la famiglia mi negò qualsiasi aiuto economico affermando che l’esercito era padre, madre, nonno e zia e che avrebbe provveduto alle mie necessità. Non fu così e patii la fame. Mi salvai solo facendo ritratti ai commilitoni che mi pagavano mille e cinquecento lire al foglio per cui riuscivo a cenare al ristorante, nei pressi dei quattro cantoni, in centro a Palermo, tutte le volte che riuscivo ad uscire dalla caserma Scianna. La mia depressione era aumentata, anche perché non avevo un futuro dinanzi a me. Ritornato a casa, trovai il mio posto di lavoro occupato da altri e dovetti cercare disperatamente lavoro. Nel frattempo mia sorella si era laureata con ottimi voti alla facoltà di lettere antiche presso l’Università Statale di Milano. I continui complimenti della famiglia per i suoi successi scolastici l’avevano convinta nel profondo della sua anima che oramai la vita dovesse renderla felice, accontentando tutti i suoi desideri come un bellissimo marito che la stimasse ed amasse profondamente. Giuliana non era assolutamente preparata alle delusioni: tutti i suoi desideri dovevano realizzarsi! Si innamorò di uno spaccone calabrese che si spacciava laureato in ingegneria nonché ufficiale di carriera a Pinerolo nella cavalleria meccanizzata e faceva l’insegnante di materie tecniche presso l’istituto tecnico Bernocchi di Legnano. Inutile dire che la mia famiglia ne fu entusiasta. Mia madre ne era innamorata e mio padre così fiero da ripudiarmi come figlio affermando che suo figlio era il fantastico professore. Una caratteristica di costui che non insospettì mai i miei era quella di fare continui omaggi di fiori a mia madre, lasciando da pagare il conto a mio padre. Lo stesso avveniva con l’invito in pizzeria a tutti i suoi conoscenti occasionali, che approfittavano per magiare e bere, lasciando poi il conto da pagare a mio padre. In pratica pagavano tutti suoi capricci compreso automobili che poi toccava a me tentare di vendere per ricavare qualche soldo. Secondo me, questo signore si era fatto vestire da capo ai piedi ed aveva approfittato della ingenuità dei miei. Ho tentato più volte di informare la mia famiglia che questa persona non era adatta per mia sorella e l’avrebbe portata in una situazione di grande malessere ma non mi hanno mai ascoltato. Non prendevano nemmeno le mie difese quando costui diceva che ero un fallito. Solo qualche volta mia sorella tentava di difendermi. Nonostante tutto ciò la famiglia è andata per la sua strada non tenendo conto mai dei miei consigli. Dopo il faraonico matrimonio alla siciliana, incominciarono i guai.. sfociando in un fatto veramente significativo: rifiutarsi di andare a vedere il figlio appena nato tra la disperazione della famiglia ed in particolare di mia sorella, che da quel momento cadde in una profonda crisi depressiva che la accompagna tuttora. Io feci da padrino al battesimo ed i coniugi dopo poco tempo si separarono perché il magico professore abbandonò la famiglia trasferendosi a La Spezia con la scusa che era stato trasferito d’ufficio. I miei pagarono anche il suo allontanamento, regalandogli una Ford Consul, rinunciando anche agli alimenti per il figlio, che del resto quel signore non avrebbe mai pagato. Da quel momento mia madre e mia sorella se la presero con me, odiandomi a morte perché ero maschio e capro espiatorio. Quando mi sposai a Padova con una giovane bella e forte non vollero contribuire alle spese di matrimonio salvo pagare una fattura di qualche modesto importo elencando anche il costo di uno spazzolino per raccogliere i rifiuti. Così vanno le cose del mondo ed io sono convinto che lo stato dovrebbe intervenire con qualche provvedimento per limitare lo strapotere della famiglia, facendo rispettare anche i diritti di quei figli con aspirazioni diverse da quelle dei genitori. Solo mio padre in punto di morte riconobbe di aver sbagliato tutto con me.
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