lunedì 27 agosto 2012
PERDONO MA NON RIESCO A DIMENTICARE
Mia Madre! Erano anni in cui essere zitelle costituiva scandalo. Dividersi dal marito era considerata una tragedia. Imperava Mussolini e mia madre non voleva perdere il marito, anche se era stata abbandonata con due figli piccoli in una città estranea alla sua parentela e senza lavoro. Tuttavia il suo comportamento, da una parte eroico perché eravamo in guerra, dall’altro dimostra una cocciutaggine quasi malvagia. In poche parole: allora la maggior parte delle donne erano analfabete se non peggio ignoranti. Mia madre sapeva leggere e scrivere e trovò un buon lavoro nell’esattoria comunale di Legnano, gestita dalla locale banca. Quando ritornò mio padre dalla guerra depresso e licenziato, si diede da fare per farlo riassumere al comune di Legnano. Tuttavia il suo stipendio era insufficiente a mantenere la famiglia, così che lei continuò a lavorare guadagnando molto di più del marito. Il lavoro a base di numeri era stressante e la sua salute precaria. Aveva sempre mal di testa e temeva la tisi, malattia dell’epoca. Voleva che la figlia Giuliana, mia sorella, facesse un ottimo matrimonio e si dedicò soprattutto a lei, alla sua dote e a farle conseguire nobili titoli di studio. Poiché purtroppo mia madre non conosceva la vita, stressava certamente i figli ad essere i più bravi a scuola. Lei non capiva che non bastava una laurea in lettere per essere amate da un uomo e credendo di fare bene costrinse la figlia a studiare da mattina a sera ed a trascurare completamente l’aspetto esteriore, decisamente repellente. Per quanto riguarda me, maschio più giovane e portato all’arte, aveva un atteggiamento cocciuto e completamente negativo. Mi impediva di studiare arte e di dedicarmi alla pittura, mia passione. Ho sempre avuto la sensazione che io ero di peso e che lei si sarebbe sbarazzata di me molto volentieri. Ignorava il mio talento e la mia disposizione alla pittura. Per lei io ero solo un perditempo, una disgrazia. Anche per via di una maledizione pronunciata dal nonno siciliano contro di me, prima che io nascessi. Sono convinto che mia madre avrebbe gradito la mia morte o il manicomio a vita piuttosto di concedermi di fare il pittore. Io dovevo rendere soldi e subito, anche con le borse di studio. Anche mia sorella Giuliana doveva rendere subito soldi e tanti perché lei desiderava smettere di lavorare ma lo stipendio di mio padre era del tutto insufficiente. Lui cercò di migliorare gli introiti economici e passò a diversi lavori sempre alle dipendenze del comune. Fu anche daziere ed accalappia cani. Mi tolse di mezzo il mio piccolo amico cane randagio condannandolo sicuramente a morte. La famiglia risentiva della crisi economica e della nevrosi di mio padre. Lui era un depresso e piuttosto iracondo. Quando, molto frequentemente si arrabbiava, staccava finestre e porte di casa se non venivano chiuse come intendeva lui. Naturalmente l’unica persona che doveva rimetterle apposto ero io con l’aiuto della vecchia nonna. Le liti erano furibonde e all’ordine del giorno. Che fosse un depresso lo si capiva da sempre perché accusava tutti, compreso me, che ero un bambino di sette, otto anni, di “istigazione al suicidio!” . Tutto ciò io perdonavo e sopportavo. Quello che più mi ha ferito nell’anima è che mia mamma è sempre stata bugiarda con me. Non festeggiava né il mio compleanno, né il mio onomastico. Le scuse erano che io mi chiamo Andrea quando era la data in onore del santo, ma il nome era Pietro e viceversa. Mi cacciarono con ripudio anche se era illegale e mi costrinsero all’esilio. Dovevo lavorare, lavorare e tuttavia i primi soldi erano tutti per loro. Mai nel corso della sua vita si preoccupò di aiutarmi nei momenti difficili e la colpa era che non aveva soldi. In realtà aiutava solo la figlia Giuliana, mia sorella di cui parlerò più avanti del fallito matrimonio voluto per prestigio da madre e padre.
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