venerdì 29 aprile 2011
VOLO ACROBATICO
Un visitatore di una mia mostra mi invitò a cena e se gradivo, voleva offrirmi un pomeriggio di domenica in volo su un aeroplano di sua proprietà. Accettai con gioia e fissammo l’appuntamento per la domenica successiva. L’aeroporto, piccolo, si trovava a Vergiate, vicino a Sesto Calende. Si trattava di un monoplano biposto, ad elica ad ala bassa che, a detta del proprietario, era molto veloce e maneggevole nonché di grande sicurezza. Mi chiese se avessi già volato su questo tipo di aeroplani ed io risposi di no. Mi fece accomodare salendo su un’ala in una zona ben definita da una striscia scura, per non danneggiare l’ala stessa, e richiuse ben bene gli sportelli. Era un monoplano capace di superare i duecento chilometri all’ora. La partenza fu perfetta e ci trovammo in un attimo sul Lago Maggiore. La giornata era ottima, serena e con un bel sole. Mi spiegò le funzioni dei comandi e puntò a tutto gas verso le montagne di Laveno. La velocità era notevole e l’aereo puntava diritto come una fucilata proprio sulla montagna. Mi venne spontaneo dire con preoccupazione; “Stiamo andando a sbattere!” Notai un malizioso sorriso del pilota che non rispose. Incominciai ad avere paura e la montagna si avvicinava sempre più incombente! Ormai ero certo di sbattere e mentalmente mi raccomandai l’anima a Dio. Giunti a pochi passi dal “mostro” l’aereo si impennò bruscamente accarezzando la cima per poi continuare a salire in verticale. Avevo smesso di respirare e il pilota seraficamente mi spiegò che stava sfruttando la corrente d’aria ascendente che si formava nei pressi della montagna. Intanto l’aereo saliva, saliva in verticale fin quando sembrò che il motore non desse più spinte. A questo punto il pilota piegò l’ala destra e l’aereo, dopo qualche incertezza, incominciò a scendere in picchiata. Di certo il mio cuore si era fermato ed i capelli si erano rizzati. Con gli occhi sbarrati incominciai ad avere terrore. L’aereo puntava giù ad una velocità a me sconosciuta e poi all’improvviso accennò ad un ammaraggio sul lago ma delicatamente e velocemente si stabilì in una pazza corsa sul pelo dell’acqua. Fummo immediatamente a Pallanza e, virando in velocità, ritornò verso l’inizio del Lago Maggiore. Il pilota mi fece guardare la mia cittadina natale, la chiesa nella quale fui battezzato e via via tutti i paesini del lato piemontese del Lago Maggiore. Probabilmente ero diventato cadaverico e senza parole e notai un risolino sarcastico del pilota. Disse: “Paura?” risposi “Si, tanta!! “Non si preoccupi: “queste sono piccole esercitazioni per passare poi a qualcosa di meglio!” Non osavo pensare cosa sarebbe successo. L’aereo si capovolse e viaggiavamo a testa in giù, ben legati ai sedili dalle cinture di sicurezza! Poi all’inizio del Lago virò sulla sinistra e puntò dritto in alto! Incominciò una silenziosa preghiera perché oramai temevo il peggio! Il pilota mi spiegò tutti gli esercizi virtuosi che avrebbe fatto ed in volo nel centro del Lago verso la Svizzera, questa volta in rettilineo, mi disse: “Prenda lei i comandi: è facile. Se vuole andare dritto, lasci i comandi come sono adesso; se vuole salire di quota, tiri un poco la cloche verso di se; al contrario, spinga in basso. Può anche aumentare o diminuire la velocità”. Ero terrorizzato e come un automa feci quello che mi veniva comandato, nella speranza che presto tutto sarebbe finito. Non era così, dopo diverse manovre che mi fermarono il cuore, il pilota puntò ancora sulle montagne di Laveno fino a salire molto in alto. “Ora andiamo alla Malpensa!” disse dopo aver parlato alla radio di bordo con termini a me incomprensibili. Rifece una pazzesca capovolta, nella quale parve che l’aereo si fermasse e poi giù a tutto gas verso l’aeroporto della Malpensa. Qui giunto pregai silenziosamente e con gli occhi sbarrati, sperando che il traffico aereo fosse mancante e non ci fossero ostacoli di sorta. Non so dove volesse andare ma mi accorsi che a tutta velocità correva verso un muro in fondo alla pista d’erba che si era scelto d’accordo con i controllori della Malpensa. Il muro si avvicinava tremendo ed inesorabile. Avevo chiuso gli occhi, quando l’aereo si impennò, superò il muro e fece la barba e i capelli ai tetti delle case: “Tutti mi conoscono ed io li saluto muovendo le ali e passando a quota bassa sulle loro teste”. Mi portò sopra i boschi che io ignoravo e mi disse: “Questo è il parco del Ticino!” Puntò verso casa sua e fece due o tre passaggi radenti sulle case; quindi ritornò a tutta velocità sul Lago Maggiore. A questo punto, quasi piangendo pregai il pilota di riportarmi a terra. Finì così: fece un giro tondo dal basso in alto e poi forse a casa. L’esperto pilota volle che io e Marisa facessimo onore alla sua mensa. Lo stomaco era in rivolta e sulla tavola troneggiava un pentolone di “cazzuola”(tipico piatto lombardo a base di cotenne di maiale, verze e salamini vari) che proprio non riuscii a mangiare.
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