TOMMY IL SELVAGGIO - cm. 20x30 - acrilico su tavola - 2008
Quel lontano giorno, sul volgere del tramonto, aspettavo mia madre che aveva da mesi promesso una visita a mia figlia Barbara, da poco entrata in questo difficile mondo. La madre, colei cui si deve la vita, alla quale l’affetto e la riconoscenza valgono per tutta la vita, colei da cui ti aspetti comprensione ed affetto se non amore. Questo era il sentimento che mi legava a lei fino alla fine. Non ero ripagato tuttavia e quel giorno me lo ha dimostrato. Da Legnano a Milano occorreva una breve corsa di treno. Arrivata a Porta Garibaldi, trecento metri di strada e poi a casa mia. Marisa, commossa e trepidante, preparava Barbara alla visita della nonna. Si pensa che lo stesso sangue porti anche affetto per la nipote. Non fu così. Come vidi da lontano la figura tipica di una signora che teneva per mano un ragazzo, pensai subito a lei e a mio nipote. Quel nipote che io ho tenuto a battesimo e che ho cercato di farlo entrare in famiglia con il giusto affetto.Sul mio viso si stampò un gran sorriso per entrambi ma fui raggelato. La mamma mi aggredì con tutta la violenza di parole oltraggiose. “Cosa mi hai combinato? Mi hai fatto venire a Milano per tua figlia? Mi sono rotta anche le calze! Che cosa ci faccio io a Milano per tua figlia: la figlia di quella là (Marisa). Me ne stavo volentieri a casa con mio nipote e mi sono dovuta disturbare a venire a Milano. Per chi poi? Per la figlia di quella là!. “Ma mamma è figlia mia, è tua nipote: è sangue del tuo sangue! Cosa stai dicendo?” La risposta fù molto esplicita ed estrema: “Voi non siete niente per me. Io stò con tua sorella e suo figlio. Voi siete meno di niente!”. A questa risposta rimasi muto. Mi domandai se fosse il caso di continuare a camminare verso casa mia, verso mia figlia, mia moglie. “Mamma, se non te la senti, puoi ritornare a Legnano. Anzi ti accompagno e ti tengo compagnia fino quando riparte il treno. Beviamo un caffè e ci salutiamo”. Brusca, con un’espressione addirittura malvagia, la mamma continuò tagliando corto: “ora che mi hai disturbata e mi hai fatto scendere a Milano, ora voglio finire al più presto questo dovere che tu mi hai imposto contro la mia volontà!”. Silenziosi abbiamo completato la distanza che da Porta Garibaldi ci separava da Via Fabio Filzi n. 8, dove vivevo. Abituato a subire e a controllarmi, non feci alcun accenno a Marisa dell’increscioso dialogo di poco prima tra me e mia madre. La visita fù brevissima e non credo proprio che mia madre abbia portato un fiore, un dolcetto o un giocattolo. Volle scappare subito via e ritornare alla stazione. Non volle nemmeno che io l’accompagnassi. E poi dicono dell’amore della madre per il figlio! A Marisa ho taciuto per anni l’increscioso diaologo. Così vanno le cose del mondo!.
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