Al termine della seconda media, promosso con la media del sette, fui picchiato e come al solito minacciato di morte. La sorellastra, più adulta di tre anni, risultava sempre la prima della classe con borsa di studio. Insultato come sempre ebbi una tenua protezione nella nonna Carlino. Mia madre era sfiancata dal lavoro, sempre ammalata e timorosa di avere la TBC. Voleva smettere di lavorare ed aveva urgenza che i figli raggiungessero al più presto un titolo di studio atto a consentirle di rimanere finalmente a casa. Mio padre era uno di quei siciliani selvaggi, animato da buone intenzioni ma privo di grazia e di parole gentili. Non aveva avuto padre, era cresciuto in ambiente carcerario e poi tra i manganellatori fascisti, con tanto di pugnale tra i denti. “Ah! Vuoi fare il pittore?” Cala un fendente come una sciabolata sulla testa e poi bastonate fino a che rimango sotto il tavolo della cucina, ben lontano dalle sue sgrinfie. “Per incominciare, domani vai a lavorare!”. Difatti alla mattina alle nove mi porta sulla canna della bicicletta dinanzi al macello comunale. Lì esisteva un ingrosso di importazione e distribuzione vini del sud. Il titolare era una brava persona di nome Cataldi e mi disse:. “Vuoi proprio lavorare da me?” mi domandò ripetutamente: “Questo è un mestiere pericoloso: le botti sono pesanti e bisogna scaricarle a spalla. A me pare che tu sei solo pelle e ossa e dodici anni sono troppo pochi. In questo lavoro io ho perso mezza gamba. Forse è meglio che ripassi fra cinque o sei anni!”. “No, mio figlio deve imparare cosa è il lavoro perché ora è solo un mangiapane a tradimento e non vuole studiare!”. “Va bene, rispose il Cataldi: vedremo cosa si potrà fare!”. Alle sei di sera il sottoscritto era rotolato sotto un cumulo di botti vuote: per fortuna senza danni. “Senti, caro - mi disse il bottaio – “torna a casa e di a tuo padre che venga lui a prendere in spalla e scaricare ottanta – cento litri di vino!”.
domenica 23 novembre 2008
UNA ESPERIENZA DI LAVORO GIOVANILE
Al termine della seconda media, promosso con la media del sette, fui picchiato e come al solito minacciato di morte. La sorellastra, più adulta di tre anni, risultava sempre la prima della classe con borsa di studio. Insultato come sempre ebbi una tenua protezione nella nonna Carlino. Mia madre era sfiancata dal lavoro, sempre ammalata e timorosa di avere la TBC. Voleva smettere di lavorare ed aveva urgenza che i figli raggiungessero al più presto un titolo di studio atto a consentirle di rimanere finalmente a casa. Mio padre era uno di quei siciliani selvaggi, animato da buone intenzioni ma privo di grazia e di parole gentili. Non aveva avuto padre, era cresciuto in ambiente carcerario e poi tra i manganellatori fascisti, con tanto di pugnale tra i denti. “Ah! Vuoi fare il pittore?” Cala un fendente come una sciabolata sulla testa e poi bastonate fino a che rimango sotto il tavolo della cucina, ben lontano dalle sue sgrinfie. “Per incominciare, domani vai a lavorare!”. Difatti alla mattina alle nove mi porta sulla canna della bicicletta dinanzi al macello comunale. Lì esisteva un ingrosso di importazione e distribuzione vini del sud. Il titolare era una brava persona di nome Cataldi e mi disse:. “Vuoi proprio lavorare da me?” mi domandò ripetutamente: “Questo è un mestiere pericoloso: le botti sono pesanti e bisogna scaricarle a spalla. A me pare che tu sei solo pelle e ossa e dodici anni sono troppo pochi. In questo lavoro io ho perso mezza gamba. Forse è meglio che ripassi fra cinque o sei anni!”. “No, mio figlio deve imparare cosa è il lavoro perché ora è solo un mangiapane a tradimento e non vuole studiare!”. “Va bene, rispose il Cataldi: vedremo cosa si potrà fare!”. Alle sei di sera il sottoscritto era rotolato sotto un cumulo di botti vuote: per fortuna senza danni. “Senti, caro - mi disse il bottaio – “torna a casa e di a tuo padre che venga lui a prendere in spalla e scaricare ottanta – cento litri di vino!”.
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