venerdì 14 maggio 2010

SILVIO BERLUSCONI

La sua più famosa frase (fra le tante) è questa: “bisogna continuare a fare pubblicità perché altrimenti non si guadagna e quindi c’è il rischio di perdere denaro. Guardate la Coca Cola, quando riduce la pubblicità riduce le vendite! Questa frase va proprio bene per gli artisti per cui musei, gallerie pubbliche e private insistono a presentare sempre gli stessi nomi, anche se già ultranoti. Perchè? Perché aumenta il plus-valore e di conseguenza i guadagni intorno a quei nomi. Così facendo non può emergere nessun altro artista condannato alla morte perché il pubblico è ingenuo e fa fatica a capire questo meccanismo. I fruitori vengono ufficialmente indottrinati ad acquistare solo quei nomi che vengono indicati. Questi eccessi si vedono anche alla televisione, sia nelle aste, che nelle vendite delle collezioni. Il mercato dell’arte è fatto anche di molti falsi, opere gonfiate per uso illecito come descritto nell’articolo del Corriere della Sera a firma Viviana Kasam: “I prezzi dei quadri? Li decide la mafia:” C’è dunque dietro l’arte un mondo marcio di affari. Finiamola con i critici d’arte e con i consulenti! Esiste una manica di delinquenti che operano indisturbati. In questo malcostume internazionale sono coinvolte anche grosse banche che si servono (a torto) di esperti d’arte, consulenti ecc. Basti pensare che ormai il mondo dell’arte è così corrotto per cui non basta più avere qualità, talento, valore ma solo il nome: riporto una frase di un professionista avvocato di Gallarate: “Vaccaro è famoso ma si comperano solo opere di valore economico”. Da tempo si pensa di introdurre nella borsa anche certi nomi dell’arte. Dal comportamento degli assessorati alla cultura sia di Milano che dei dintorni risulta che manca la cultura e che nemmeno conoscono il valore di disegni che riproducono ambienti e costumi locali oramai dimenticati come dimenticata è l’umanità che sessanta, sett’antanni fa agivano in questi luoghi. Così con il probabile rifiuto dei miei disegni dell’infanzia dimostrano di occupare ingiustamente quegli assessorati e di essere quindi coinvolti in affarismi di cui sopra.
Nel nome di Berlusconi, grandi ladri e truffatori. Ci si lamentava del centro-sinistra ma mai si era giunti ad una così efficiente combriccola di ladri personali come ora.

LA MAFIA IN LOMBARDIA
Ascoltando le trasmissioni della televisione LA 7 riceviamo una precisa comunicazione: la mafia é legata all’attuale governo, che ubbidisce ai potenti delle cosche come successo a Fondi (Latina). Nessun scioglimento dell’amministrazione - come sarebbe doveroso in caso di comprovate infiltrazioni mafiose - ma nuove elezioni con al potere il precedente capo-mafia. Tuttavia mai abbiamo avuto tanti ladroni personali come nel governo Berlusconi. Da anni a Legnano imperava una cricca locale sostenuta dai ricchi cittadini che si servivano di un mercante d’arte per traffici di valuta e magari di droga. Tutto sussurrato e mai nessun arrestato salvo qualche direttore di banca ed un commercialista per il sospetto rapimento di una persona ricca. Ora più che mai abbiamo il trionfo degli interessi privati contro quelli pubblici. Cominciamo dall’architettura e finiamo nelle gallerie d’arte pubbliche. Si spera che la magistratura si interessi dei “mangiatori di lumache”. Tuttavia pare molto difficile che la verità venga a galla. In tutte le manifestazioni comunali la corruzione è d’obbligo. Ladri i politici, ladri i consulenti. Oltre a spartirsi utili in nero ecco le straordinarie scorpacciate di lumache vive con la bava che cola in quella bocca avida di potere e denaro.
LA7 del 14 maggio
Risulta che una spesa fatta 100, l’80% va ai burocrati consulenti e solo il 20% va direttamente ai politici. Qualcuno dice che siamo nella più grande truffa dell’umanità. (Versace del PDL sempre su la7).La corruzione in Italia è un fatto endemico e nessuno tocca i musei e le gallerie d’arte pubbliche. La corruzione che porta nero ai consulenti ed ai politici con il governo Berlusconi è salita da sessantamiliardi di euro a settantamiliardi. No ai consulenti!
Si apprende dalla televisione che le mafie con il potere del denaro e con le larvate minacce impongono la loro volontà e quindi governino di fatto tutta la Lombardia. La Lega Nord è un ingenuo strumento nelle mani del popolo dell’amore, della libertà e chi più ne ha più ne metta. Come mai la magistratura non indaga per il quieto vivere? La capitale delle mafie è Milano e punta sulle principali capitali internazionali. La Borsa è sua e di conseguenza banche ed industrie sono sue. Tutti i politici risentono di questo potere. Mai nessuno si è interessato della mafia nell’arte. Come mai? Per interesse, per sottovalutazioni, per vivere tranquilli.

RIPORTO ARTICOLO MOLTO ESPLICATIVO DEL CORRIERE DELLA SERA.

CORRIERE DELLA SERA DI MERCOLEDI 18 OTTOBRE 1989 PAG. 11 – “I PREZZI DEI QUADRI? LI DECIDE LA MAFIA - ARTICOLO A FIRMA VIVIANA KASAM


Aste pilotate, quotazioni megagalattiche: il mercato dell’arte nel giro delle cosche.
Tutti i trucchi per riciclare capitali nelle opere di valore: prestanomi, accrediti bancari sospetti, evasioni fiscali, esportazioni di valuta – Il gioco proficuo delle sparizioni – La Svizzera forziere sicuro di beni e “porto franco” Milano – “Le nozze di Pierrete”, famosa tela di Picasso scomparsa dal mercato per molti anni, andrà all’asta a Parigi il 30 novembre. Prezzo stimato: ottanta miliardi di lire. Una cifra da capogiro. Ma ormai i nove zeri sono all’ordine del giorno. Tanto che non pochi cominciano a chiedersi le ragioni del boom dell’arte, e da dove provengono i capitali investiti in questo settore. Le risposte ci sono, più difficile addurre le prove: perché spesso dietro la quotazioni megagalattiche delle vendite all’incanto ci può essere riciclaggio di denaro sporco, mafia, evasione fiscale, esportazione di valuta e questo perché i quadri sono beni ad altissimo valore che presentano parecchi vantaggi: sono facilmente trasportabili fuori da ogni controllo (arrotolati, tagliati, ridipinti); non hanno bisogno di atto notarile di acquisto; possono essere pagati in qualsiasi valuta; riescono ad eludere tassazioni. Se passano di mano da privato a privato, non c’è Iva; se vengono battuti all’incanto c’è solo sui diritti d’asta; soltanto se la tela si importa o viene acquistata in una galleria si dovrebbe applicare l’imposta sul valore aggiunto, ma i controlli in questo campo sono difficili, perché non esistono listini di prezzo. Immaginiamo ora qualche “scenario”.
Scenario uno. Titolo: mafia, un giro di delinquenza organizzata ricco di contanti da riciclare, acquistata a un asta, tramite un prestanome, un’opera di grandissimo valore, pagata attraverso accrediti bancari o società off-shore. Teniamo presente che la battuta d’asta costituisce la base del futuro prezzo di mercato, crea il pedigree del quadro. Bene: il nostro immaginario gruppo tiene via il quadro per un certo numero di anni, poi lo rimette sul mercato, là dove la valuta in quel momento è più interessante (Londra, Parigi, New York), ricavandone soldi “puliti”. Anonimi i compratori anonimi i venditori per convenzione d’asta.
Scenario due. Titolo: evasione fiscale. Mettiamo un imprenditore – e questo sistema pare sia parecchio utilizzato nel nostro Paese – che voglia fare uscire soldi dalla sua azienda e farli entrare, esentasse nelle proprie tasche. Gli basta mettersi d’accordo con una casa d’aste per vendere alla propria azienda un quadro di sua proprietà – o acquistato per l’occasione – facendo lievitare artatamente il prezzo (bastano due persone incaricate di fingere di contenderselo): Poche illusioni: parecchie case d’aste, anche rinomate (escludendo quelle pochissime superserie e note internazionalmente come Sotheby’s, Christie’,s, Finante) si prestano a questi giochini, anzi a volte incamerano una fetta del ricavato. Così l’immaginario signor x, che possiede, o ha acquistato un grande maestro magari di dubbia attribuzione e qualità, e quindi a buon mercato (un Perugino più restauro che dipinto, un Leonardo probabilmente di scuola, Un Tiziano contestato dalla maggior parte dei critici), lo vende all’asta dietro falso nome, e lo fa acquistare alla propria azienda, mettendosi in tasca centinaia di milioni. E c’è un ulteriore vantaggio; se sfruttato bene, l’acquisto viene utilizzato per fare pubblicità all’azienda.
Scenario tre. Titolo: l’imbroglio. Prendiamo per esempio un pittore contemporaneo che, dopo aver vivacchiato a quotazioni modeste, all’improvviso realizza in parecchie aste cifre da capogiro. E’ stato scoperto dai critici e dal pubblico? No, semplicemente uno o più galleristi che hanno accumulato un congruo numero di sue tele, si mettono d’accordo per gonfiare i prezzi, in modo da stabilire nuovi prezzi di mercato.
Scenario quattro. Titolo: leasing d’arte. Un immaginario imprenditore decide di spendere parte dei budget della sua ditta in opere d’arte. Onde acquisirle con benefici fiscali, usa il leasing. L’azienda paga tutte le rate, ma si ferma prima dell’ultima. A questo punto subentra il cosiddetto “diritto di riscatto”: a norma di legge chiunque, d’accordo con la società di leasing, può riscattare l’opera, pagando la rata mancante. La persona è, quasi sempre, il titolare dell’azienda stessa, che diventa così proprietario di un’opera pagata dalla sua ditta. Con i benefici fiscali. Come le “nozze di Pierrette”, scomparso dal mercato per molti anni, sono innumerevoli i quadri dei quali ogni anno si perdono le tracce. Ma il nulla si chiama “porto franco” e si trova a Zurigo e a Ginevra. Vicino agli aeroporti delle città svizzere due megadepositi ciascuno delle dimensioni di una cittadella, custodiscono migliaia di opere. Veri e propri forzieri del mondo, sorvegliati da vigilantes racchiudono tele di tutti i Maestri degni di questo nome, che attendono lì la scadenza dei termini giuridici per riapparire sul mercato. Perché? La Svizzera è un paese sicuro, che rispetta e protegge i segreti; e il porto franco è un punto dove la merce può arrivare in attesa di destinazione finale e restare così esentasse e esente da ispezioni. Non sempre, beninteso, dietro alle aste c’è illegalità. Ma quando si raggiungono quotazioni astronomiche, un’ombra di sospetto è legittima. Basti pensare, agli “Iris” di Van Ghog acquistati l’anno scorso a New York per 66 miliardi di lire dal magnate australiano Alan Bond ora in via di fallimento. In questo gioco di rialzi concordati, di prezzi esorbitanti, di opere pompate, spesso rimangono presi gli sprovveduti amanti dell’arte. Viviana Kasam


P.S. VIVIANA KASAN E’ UNA IMPORTANTE GIORNALISTA INTERNAZIONALE E COLLABORA CON GIORNALI E IMPORTANTI UNIVERSITA’ COME QUELLA DI GERUSALEMME SEDE DI UN CENTRO DI RICERCA SUL CERVELLO

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