ARTE E CULTURA
Tutta l’attenzione è rivolta alla politica, al lavoro che manca, al possibile disastro dell’euro e nessuno fa caso sulle truffe nel campo dell’arte. Secondo me, e posso sbagliare, in questo campo i disonesti hanno mano libera per caricare lo stato, le regioni, le province e perché no anche i comuni di spese assurde che poi si traducono in lauti guadagni in nero per gli organizzatori di eventi artistici. Pensate al mondo degli affari ed alla corruzione costante e ditemi perché questa debba essere assente nel campo dell’arte.
1° - assicurazioni
2 ° - trasporti
3° - consulenze
4° - plus valore per i proprietari
Gli artisti che girano per le grandi mostre sono quasi sempre gli stessi. Non c’è alcuna necessità di mostrare ciò che è già stranoto. Invece immaginate gli accordi segreti che possono sussistere nel far girare quadri e sculture magari di proprietà di una compagnia esperta in arte. Chi va a controllare se poi i curatori ed i consulenti non guadagnino in nero? Queste opere aumentano sempre più di plus valore aumentando la ricchezza dei possessori. Per capire l’ulteriore grande truffa basterebbe leggere l’articolo a firma VIVIANA KASAM apparso sul CORRIERE DELLA SERA nel 1989 dal titolo: “I PREZZI DEI QUADRI? LI DECIDE LA MAFIA” oppure la lettere autografa di SIGFRIDO BARTOLINI giornalista e critico d’arte de “IL GIORNALE” del 1996. Pare che i magistrati non riescano a capire l’uso speculativo dell’arte. Eppure io ho avvisato a mie spese molti governi che le mafie si servivano del clero per esportare illegalmente denaro ed importare ed esportare anche quadri arrotolati sotto gli abiti. La Guardia di Finanza conosce galleristi mafiosi ma tutto tace. La presenza delle mafie è data anche dalle rivoluzioni architettoniche grazie a politici e consulenti motivati dal lucro e molto abili nell’ottenere voti. Anche in questo caso le donne sono le più fragili: alle giovani basta un accenno sull’amore “I love…………” Popolazione ingenua e politici in parte ingenui ed in parte corrotti ed abili hanno consegnato anche il profondo nord alle mafie?
Questa è un’ipotesi di lavoro su certe consuetudini nel mondo dell’arte. Come al solito la mia intuizione può non essere vera. Tuttavia la realtà sembra confermare le peggiori considerazioni. E’ di questi giorni la notizia che da un convento di suore può scaturire un fiorente traffico internazionale di droga. Di recente la droga è stata trovata anche nelle cornici di quadri. Cara magistratura c’è molto da fare anche nel mondo dell’arte e non credete ai tecnici e consulenti.
CORRIERE DELLA SERA DI MERCOLEDI 18 OTTOBRE 1989 PAG. 11 – “I PREZZI DEI QUADRI? LI DECIDE LA MAFIA - ARTICOLO A FIRMA VIVIANA KASAM
Aste pilotate, quotazioni megagalattiche: il mercato dell’arte nel giro delle cosche.
Tutti i trucchi per riciclare capitali nelle opere di valore: prestanomi, accrediti bancari sospetti, evasioni fiscali, esportazioni di valuta – Il gioco proficuo delle sparizioni – La Svizzera forziere sicuro di beni e “porto franco” Milano – “Le nozze di Pierrete”, famosa tela di Picasso scomparsa dal mercato per molti anni, andrà all’asta a Parigi il 30 novembre. Prezzo stimato: ottanta miliardi di lire. Una cifra da capogiro. Ma ormai i nove zeri sono all’ordine del giorno. Tanto che non pochi cominciano a chiedersi le ragioni del boom dell’arte, e da dove provengono i capitali investiti in questo settore. Le risposte ci sono, più difficile addurre le prove: perché spesso dietro la quotazioni megagalattiche delle vendite all’incanto ci può essere riciclaggio di denaro sporco, mafia, evasione fiscale, esportazione di valuta e questo perché i quadri sono beni ad altissimo valore che presentano parecchi vantaggi: sono facilmente trasportabili fuori da ogni controllo (arrotolati, tagliati, ridipinti); non hanno bisogno di atto notarile di acquisto; possono essere pagati in qualsiasi valuta; riescono ad eludere tassazioni. Se passano di mano da privato a privato, non c’è Iva; se vengono battuti all’incanto c’è solo sui diritti d’asta; soltanto se la tela si importa o viene acquistata in una galleria si dovrebbe applicare l’imposta sul valore aggiunto, ma i controlli in questo campo sono difficili, perché non esistono listini di prezzo. Immaginiamo ora qualche “scenario”.
Scenario uno. Titolo: mafia, un giro di delinquenza organizzata ricco di contanti da riciclare, acquistata a un asta, tramite un prestanome, un’opera di grandissimo valore, pagata attraverso accrediti bancari o società off-shore. Teniamo presente che la battuta d’asta costituisce la base del futuro prezzo di mercato, crea il pedigree del quadro. Bene: il nostro immaginario gruppo tiene via il quadro per un certo numero di anni, poi lo rimette sul mercato, là dove la valuta in quel momento è più interessante (Londra, Parigi, New York), ricavandone soldi “puliti”. Anonimi i compratori anonimi i venditori per convenzione d’asta.
Scenario due. Titolo: evasione fiscale. Mettiamo un imprenditore – e questo sistema pare sia parecchio utilizzato nel nostro Paese – che voglia fare uscire soldi dalla sua azienda e farli entrare, esentasse nelle proprie tasche. Gli basta mettersi d’accordo con una casa d’aste per vendere alla propria azienda un quadro di sua proprietà – o acquistato per l’occasione – facendo lievitare artatamente il prezzo (bastano due persone incaricate di fingere di contenderselo): Poche illusioni: parecchie case d’aste, anche rinomate (escludendo quelle pochissime superserie e note internazionalmente come Sotheby’s, Christie’,s, Finante) si prestano a questi giochini, anzi a volte incamerano una fetta del ricavato. Così l’immaginario signor x, che possiede, o ha acquistato un grande maestro magari di dubbia attribuzione e qualità, e quindi a buon mercato (un Perugino più restauro che dipinto, un Leonardo probabilmente di scuola, Un Tiziano contestato dalla maggior parte dei critici), lo vende all’asta dietro falso nome, e lo fa acquistare alla propria azienda, mettendosi in tasca centinaia di milioni. E c’è un ulteriore vantaggio; se sfruttato bene, l’acquisto viene utilizzato per fare pubblicità all’azienda.
Scenario tre. Titolo: l’imbroglio. Prendiamo per esempio un pittore contemporaneo che, dopo aver vivacchiato a quotazioni modeste, all’improvviso realizza in parecchie aste cifre da capogiro. E’ stato scoperto dai critici e dal pubblico? No, semplicemente uno o più galleristi che hanno accumulato un congruo numero di sue tele, si mettono d’accordo per gonfiare i prezzi, in modo da stabilire nuovi prezzi di mercato.
Scenario quattro. Titolo: leasing d’arte. Un immaginario imprenditore decide di spendere parte dei budget della sua ditta in opere d’arte. Onde acquisirle con benefici fiscali, usa il leasing. L’azienda paga tutte le rate, ma si ferma prima dell’ultima. A questo punto subentra il cosiddetto “diritto di riscatto”: a norma di legge chiunque, d’accordo con la società di leasing, può riscattare l’opera, pagando la rata mancante. La persona è, quasi sempre, il titolare dell’azienda stessa, che diventa così proprietario di un’opera pagata dalla sua ditta. Con i benefici fiscali. Come le “nozze di Pierrette”, scomparso dal mercato per molti anni, sono innumerevoli i quadri dei quali ogni anno si perdono le tracce. Ma il nulla si chiama “porto franco” e si trova a Zurigo e a Ginevra. Vicino agli aeroporti delle città svizzere due megadepositi ciascuno delle dimensioni di una cittadella, custodiscono migliaia di opere. Veri e propri forzieri del mondo, sorvegliati da vigilantes racchiudono tele di tutti i Maestri degni di questo nome, che attendono lì la scadenza dei termini giuridici per riapparire sul mercato. Perché? La Svizzera è un paese sicuro, che rispetta e protegge i segreti; e il porto franco è un punto dove la merce può arrivare in attesa di destinazione finale e restare così esentasse e esente da ispezioni. Non sempre, beninteso, dietro alle aste c’è illegalità. Ma quando si raggiungono quotazioni astronomiche, un’ombra di sospetto è legittima. Basti pensare, agli “Iris” di Van Ghog acquistati l’anno scorso a New York per 66 miliardi di lire dal magnate australiano Alan Bond ora in via di fallimento. In questo gioco di rialzi concordati, di prezzi esorbitanti, di opere pompate, spesso rimangono presi gli sprovveduti amanti dell’arte. Viviana Kasam
Lettera autografa di Sigrido Bartolini giornalista e critico d’arte de “IL GIORNALE” – marzo 1996
Egr. Sig. Vaccaro
Scusi il ritardo ma un po’ le tante lettere alle quali rispondere e molto il fatto che sono spesso fuori sede, sia per “Il Giornale” che per le cose mie.
Ho letto con interesse la sua precisa denuncia, niente da obiettare, salvo il fatto che lei mi sembra illuso di poter fare qualcosa. Il Presidente della Repubblica? Ma non ha capito che tipo è? Non vede che fa tutto il possibile per ricostruire una Democrazia Cristiana che divida quel che resta del paese con il Partito Comunista (o come diavolo si chiami).
Io sono pessimista su tutta la linea, ho l’occasione de “Il Giornale”, con un direttore come Feltri che permette gli attacchi che lei conosce, e scrivo sia con la certezza di non smuovere neppure la polvere dei tanti, troppi interessi di varia specie, e ormai a livello internazionale, che hanno in America la loro roccaforte. Le mie denuncie mi costano un ulteriore ostracismo da parte di mercanti e stampa, ormai mi sento separato a vita ma non me ne importa, scrivo per dovere di testimonianza, un giorno, fra un paio di generazioni, chissà?!
Se posso permettermi di darle un consiglio, dia retta, non si faccia il sangue guasto come ho fatto io. Il paese è quello che è, l’arte l’ho persa di vista da tempo e così non mi resta che la rabbia e il gesto onanistico di gridare al vento.
Saluti e buon lavoro.
MILANO, 9 MARZO 1996
SIGFRIDO BARTOLINI
GIORNALISTA E CRITICO D’ARTE
DE “IL GIORNALE” - MILANO
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