Da anni scrivo a destra ed a manca, a personaggi della cultura e politica di tutto il mondo, ma nessuna ha mai preso provvedimenti. Ora sappiamo che l’euro è una trappola anche per l’Italia di cui si teme la bancarotta come per la Grecia. All’epoca di “Sgarbi quotidiani” ho scritto anche a lui con tanto di articoli che in parte confermano quanto dicevo; tutto invano! Anzi Sgarbi mi ha deriso! Ebbene racconterò ancora una volta cosa succedeva con l’arte ufficiale. I mercanti di successo trattavano pittori che si prestavano in modo cosciente od incosciente a costituire una banda che favoriva l’esportazione illegale del denaro del nord Italia. Io ho avuto esperienza diretta solo a Legnano. Succedeva così: suore e preti non venivano mai fermati e perquisiti alla dogana. Il mercante copriva i corpi di suore e frati di mazzette tenute legate al corpo con lunghi cerotti. Una volta rivestiti con gli abiti talari, nessuno più ostacolava i loro viaggi all’estero. E’ evidente che il mercante era in società con le banche, i direttori di queste e dei personaggi di spicco nella stima sociale. Assessori alla cultura e quanto di meglio la società offriva. C’erano diversi raccoglitori che vantavano ricchezza industriale e monto spesso si vantavano di fare grandi elargizioni alla chiesa. Così procedeva per anni l’espatrio dei capitali mentre le industrie fallivano. Così andavano le cose del mondo! Le industrie chiudevano, gli operai perdevano il lavoro ma i ricchi investivano in borsa i loro capitali.
Sarebbe buona norma diffidare dei “dottori in storia dell’arte” perché in passato hanno sostenuto la degenerazione dell’arte contro gli interessi di molti a vantaggio di pochi ricconi corrotti. Basta con i consulenti ufficiali.
Esiste ancora adesso un accordo segreto ma terribilmente efficace. I direttori di musei e mercanti uniti a dirigenti di banca sono una sola cosa con un solo scopo: ricavare il massimo beneficio economico innalzando certi artisti comodi e continuando imperterriti nelle loro azioni. Normalmente non permettevano ad altri pittori di partecipare al banchetto. Una società separata dal resto degli onesti definiti idioti ed inutili.
CORRIERE DELLA SERA DI MERCOLEDI 18 OTTOBRE 1989 PAG. 11 – “I PREZZI DEI QUADRI? LI DECIDE LA MAFIA - ARTICOLO A FIRMA VIVIANA KASAM
Aste pilotate, quotazioni megagalattiche: il mercato dell’arte nel giro delle cosche.
Tutti i trucchi per riciclare capitali nelle opere di valore: prestanomi, accrediti bancari sospetti, evasioni fiscali, esportazioni di valuta – Il gioco proficuo delle sparizioni – La Svizzera forziere sicuro di beni e “porto franco” Milano – “Le nozze di Pierrete”, famosa tela di Picasso scomparsa dal mercato per molti anni, andrà all’asta a Parigi il 30 novembre. Prezzo stimato: ottanta miliardi di lire. Una cifra da capogiro. Ma ormai i nove zeri sono all’ordine del giorno. Tanto che non pochi cominciano a chiedersi le ragioni del boom dell’arte, e da dove provengono i capitali investiti in questo settore. Le risposte ci sono, più difficile addurre le prove: perché spesso dietro la quotazioni megagalattiche delle vendite all’incanto ci può essere riciclaggio di denaro sporco, mafia, evasione fiscale, esportazione di valuta e questo perché i quadri sono beni ad altissimo valore che presentano parecchi vantaggi: sono facilmente trasportabili fuori da ogni controllo (arrotolati, tagliati, ridipinti); non hanno bisogno di atto notarile di acquisto; possono essere pagati in qualsiasi valuta; riescono ad eludere tassazioni. Se passano di mano da privato a privato, non c’è Iva; se vengono battuti all’incanto c’è solo sui diritti d’asta; soltanto se la tela si importa o viene acquistata in una galleria si dovrebbe applicare l’imposta sul valore aggiunto, ma i controlli in questo campo sono difficili, perché non esistono listini di prezzo. Immaginiamo ora qualche “scenario”.
Scenario uno. Titolo: mafia, un giro di delinquenza organizzata ricco di contanti da riciclare, acquistata a un asta, tramite un prestanome, un’opera di grandissimo valore, pagata attraverso accrediti bancari o società off-shore. Teniamo presente che la battuta d’asta costituisce la base del futuro prezzo di mercato, crea il pedigree del quadro. Bene: il nostro immaginario gruppo tiene via il quadro per un certo numero di anni, poi lo rimette sul mercato, là dove la valuta in quel momento è più interessante (Londra, Parigi, New York), ricavandone soldi “puliti”. Anonimi i compratori anonimi i venditori per convenzione d’asta.
Scenario due. Titolo: evasione fiscale. Mettiamo un imprenditore – e questo sistema pare sia parecchio utilizzato nel nostro Paese – che voglia fare uscire soldi dalla sua azienda e farli entrare, esentasse nelle proprie tasche. Gli basta mettersi d’accordo con una casa d’aste per vendere alla propria azienda un quadro di sua proprietà – o acquistato per l’occasione – facendo lievitare artatamente il prezzo (bastano due persone incaricate di fingere di contenderselo): Poche illusioni: parecchie case d’aste, anche rinomate (escludendo quelle pochissime superserie e note internazionalmente come Sotheby’s, Christie’,s, Finante) si prestano a questi giochini, anzi a volte incamerano una fetta del ricavato. Così l’immaginario signor x, che possiede, o ha acquistato un grande maestro magari di dubbia attribuzione e qualità, e quindi a buon mercato (un Perugino più restauro che dipinto, un Leonardo probabilmente di scuola, Un Tiziano contestato dalla maggior parte dei critici), lo vende all’asta dietro falso nome, e lo fa acquistare alla propria azienda, mettendosi in tasca centinaia di milioni. E c’è un ulteriore vantaggio; se sfruttato bene, l’acquisto viene utilizzato per fare pubblicità all’azienda.
Scenario tre. Titolo: l’imbroglio. Prendiamo per esempio un pittore contemporaneo che, dopo aver vivacchiato a quotazioni modeste, all’improvviso realizza in parecchie aste cifre da capogiro. E’ stato scoperto dai critici e dal pubblico? No, semplicemente uno o più galleristi che hanno accumulato un congruo numero di sue tele, si mettono d’accordo per gonfiare i prezzi, in modo da stabilire nuovi prezzi di mercato.
Scenario quattro. Titolo: leasing d’arte. Un immaginario imprenditore decide di spendere parte dei budget della sua ditta in opere d’arte. Onde acquisirle con benefici fiscali, usa il leasing. L’azienda paga tutte le rate, ma si ferma prima dell’ultima. A questo punto subentra il cosiddetto “diritto di riscatto”: a norma di legge chiunque, d’accordo con la società di leasing, può riscattare l’opera, pagando la rata mancante. La persona è, quasi sempre, il titolare dell’azienda stessa, che diventa così proprietario di un’opera pagata dalla sua ditta. Con i benefici fiscali. Come le “nozze di Pierrette”, scomparso dal mercato per molti anni, sono innumerevoli i quadri dei quali ogni anno si perdono le tracce. Ma il nulla si chiama “porto franco” e si trova a Zurigo e a Ginevra. Vicino agli aeroporti delle città svizzere due megadepositi ciascuno delle dimensioni di una cittadella, custodiscono migliaia di opere. Veri e propri forzieri del mondo, sorvegliati da vigilantes racchiudono tele di tutti i Maestri degni di questo nome, che attendono lì la scadenza dei termini giuridici per riapparire sul mercato. Perché? La Svizzera è un paese sicuro, che rispetta e protegge i segreti; e il porto franco è un punto dove la merce può arrivare in attesa di destinazione finale e restare così esentasse e esente da ispezioni. Non sempre, beninteso, dietro alle aste c’è illegalità. Ma quando si raggiungono quotazioni astronomiche, un’ombra di sospetto è legittima. Basti pensare, agli “Iris” di Van Ghog acquistati l’anno scorso a New York per 66 miliardi di lire dal magnate australiano Alan Bond ora in via di fallimento. In questo gioco di rialzi concordati, di prezzi esorbitanti, di opere pompate, spesso rimangono presi gli sprovveduti amanti dell’arte. Viviana Kasam
P.S. VIVIANA KASAN E’ UNA IMPORTANTE GIORNALISTA INTERNAZIONALE E COLLABORA CON GIORNALI E IMPORTANTI UNIVERSITA’ COME QUELLA DI GERUSALEMME SEDE DI UN CENTRO DI RICERCA SUL CERVELLO
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