sabato 8 maggio 2010

I SACRIFICI IN CASO DI RECESSIONE

Sono nato il 21 luglio 1939. Mio padre volle trasferire la famiglia da Pallanza (Verbania) a Legnano (Milano) quando io avevo sei mesi di età. Legnano era una città di operai e non c’erano legami di qualsiasi tipo con la parentela e le conoscenze locali di Pallanza. Lo scopo del trasferimento stava ufficialmente nel fatto che mio padre aveva vinto un concorso per vigile urbano. Tuttavia nel corso degli anni venne a galla un altro motivo: lui non tollerava la presenza della suocera e dei parenti del lago. Mio padre era di Scicli (Ragusa) ed era stato allevato da un fratello di sua madre guardia carceraria. Infatti Ignazio, mio padre, aveva perso il suo ancora prima di nascere. Nel 1939, si era prossimi alla seconda guerra mondiale che infatti scoppiò proprio in quell’anno. Tutti penserebbero che con moglie e due figli a carico, quest’uomo pensasse alla famiglia in un ambiente nuovo , senza lavoro per la moglie e senza aiuti di sorta. Invece si arruolò volontario nella milizia fascista ed abbandonò noi tutti al nostro destino. Va da se che la situazione fu tragica: senza lavoro, senza soldi, una donna sola con due bambini piccoli in mezzo alla campagna perché allora le case popolari erano due chilometri distanti dalla città. Per non morire di fame, la mamma lavorò come operaia alla Cantoni, grossa industria tessile ormai scomparsa. Si alzava prima delle cinque di mattina ed in compagnia di altre operaie, al buio e con le zoccole di legno si avviava alla fabbrica. Va da se che i figli erano abbandonati a se stessi e fu cosi che la nonna Carlino raggiunse Legnano per badare a noi piccoli. In seguito il nonno Pietro volle tenerci con se a Intra mentre la mamma lavorava da sola a Legnano. La guerra era scoppiata in tutta la sua violenza e si incominciò a subire le conseguenze come il razionamento del cibo e del vestiario. Il nonno Pietro faceva il falegname ed il bottaio e si allontanava spesso da Intra per cercare lavoro, spingendo il suo carrettino a mano, nel quale teneva i ferri del mestiere. Crescendo nella miseria ebbi tuttavia la libertà di disegnare da subito o quasi cavalli che erano parte del paesaggio. Man mano che crescevo diventavo un mezzo per divertire gli altri bambini con la mia abilità di disegnatore. Venni ospitato di tanto in tanto anche da qualche famiglia ricca, che aveva problemi con il proprio figlio. Così Mariolino, figlio del direttore tecnico della Cantoni. Era molto vivace, troppo vivace come oggi si direbbe “iperattivo”. La mamma di Mariolino mi invitava a disegnare il cavallino e la magia del disegno sembrava calmare il bambino, che veniva interessato, si divertiva e si calmava. Fu in questa occasione ed anche presso altre famiglie ricche che mi accorsi della grande differenza fra il popolo povero e loro. Noi, in famiglia, si mangiava anche la parte superiore di certe scope di saggina, come minestra. Gli altri avevano carne ed ogni ben di Dio. Mi ricordo che uomini con sacchi sulle spalle portavano in cucina pezzi enormi di animali, il pane bianco e persino dei dolci. Noi a casa, come tutto il popolo, cibo razionato a base di riso. Riso e latte, polenta e pane nero. Ancora oggi con la crisi economica incombente ci sarà chi nuoterà nella grande abbondanza di tutto ed il resto del popolo dovrà fare la fame ed ogni tipo di sacrificio. Non mi pare giusto!

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