giovedì 5 giugno 2008

L'ALBERGO DI NAPOLI

Mi ero impegnato con una galleria del Vomero a fare una mostra personale. Avevo spedito bene imballati i quadri e duemila manifesti, che non furono mai applicati ai muri, nonostante il pagamento anticipato. Le assicurazioni si rifiutarono di farmi una qualsiasi polizza contro il furto ed il danneggiamento sentendo la parola demonio: Napoli. A stento riuscirono a convincermi adducendo come motivo che tutte le assicurazioni erano in completo fallimento proprio per la città di Napoli e che si rifacevano solo con il nord. Pensai ad una forma esacerbata di razzismo finché non giunsi in aereo a Napoli. Marisa ed io decidemmo di noleggiare un taxi e su questo veicolo conoscemmo cose impensabili. Il tassista, tranquillo, andava contromano. Saliva sui marciapiedi, dove c’era l’erba e la scritta “Vietato calpestare i fiori” . Ci trovammo diverse volte fermi, ingorgati in quelle che venivano definite “croci uncinate”. Il tassista, tranquillo estraeva il giornale e si metteva a leggere. Noi incominciavamo ad essere ansiosi e domandavamo: “cosa succede?”. Rispondeva placido il guidatore: “niente paura, questa è la solita croce uncinata. Vedrete che fra qualche minuto si scioglie come se nulla fosse successo”. Difatti, dopo qualche minuto si riprendeva la marcia.
I semafori erano lì per bellezza: tutti passavano col rosso, tutti entravano nei sensi proibiti, tutti facevano il comodo loro. Non c’era una macchina sana, intatta. Tutte recavano segni macroscopici di scontri mostruosi. Tutti i guidatori erano Tazio Nuvolari e tutti colorivano le loro gesta con fiorite bestemmie ed inviti ad andare a quel posto. Gli autisti tenevano costantemente fuori dal finestrino il pugno sinistro chiuso tranne l'indice e il mignolo.
Giungemmo finalmente ad uno dei più lussuosi alberghi in stile, su una collinetta, da cui si godeva uno splendido panorama. Ci accolsero spagnolescamente: tutti in livrea, due persone per due valigie. Ossequi a non finire. Salita in ampio ascensore con tanto di operatore addetto. Finalmente in camera. Mancia ai portaborse e poi Marisa, come tutte le donne, diventa curiosa: solleva il copriletto ed ha subito un arresto cardiaco. Le lenzuola sono sporche di cacca e di mestruo. Subito giù nella hall. Pagato il conto, facciamo venire un altro taxi. Via alla ricerca di qualche albergo, meno pomposo ma più pulito. La ricerca risultò vana e alla fine, disperati puntammo sul più alto e moderno albergo della città, vicino al Maschio Angioino.
All’apparenza l’albergo era simile a quelli che si vedevano a New York. Super lusso, una marea di servitù. Ci diedero una stanza ai piani alti e ci condussero su uno dei due mega-ascensori. Entrammo in camera e subito venni soffocato dal caldo: i termosifoni erano accesi al massimo ed io per sopravvivere aprii completamente la finestra. Andai in bagno ed aprii la doccia per farmi un bagno ogni dieci minuti. Tutti gli attrezzi erano svitati e non si poteva fare conto su di essi, come il porta-asciugamani e via dicendo.Il letto però aveva lenzuola pulite. Trascorsi una notte bestiale, alle sei dell’indomani ero già in piedi. Mi incuriosiva il fatto che i due ascensori avevano uscite dispari. Dove si fermava uno, non si fermava l’altro e mi convinsi che in caso di incendio dovevamo fare una rampa di scale per raggiungere l’altro se il nostro non veniva alla chiamata. Curioso affrontai le scale che apparivano grandi e quindi dovevano essere comode. Invece tutte e due le rampe delle scale erano completamente ostruite da ogni tipo di rifiuti. Letti, materassi, bidet, lavandini, sacchi di immondizia e tutto quanto la fantasia può permettere di immaginare. Sorpreso ed infuriato per tale disordine che rappresentava un serio pericolo per gli ospiti, decisi di aspettare nella hall per lamentarmi con il direttore. Nel frattempo osservavo un esercito di uomini e donne addetti alle pulizie che tranquillamente conversavano e si gustavano il caffè. Quando giunse il direttore, osai informarlo dettagliatamente su quanto veduto. Lui mi guardò come solo un napoletano sa fare e poi rispose serafico: “Caro signore, non vado a vedere perché altrimenti dovrei licenziarli tutti!" e riprese come se nulla fosse successo a fare quello che stava facendo. Alla fine della mostra, chiedemmo al gallerista di pagare l’IVA sul venduto. Lui ci guardò come si osserva una bestia strana e poi sbottò: “Ma che iva ed iva. Queste sono cose inventate per quelli del nord!”. "Qui nessono paga niente: tutte queste gabelle sono inventate per i settentrionali!

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