mercoledì 4 giugno 2008

PARIGI, PARIGI!


La prima volta che andai a Parigi ero da solo, entusiasta e con l' auto. Attraversai la galleria del Monte Bianco. Mi colpì l’oscurità e la strettezza della carreggiata e la puzza fastidiosa dei gas di scarico. Pazientai ed alla fine uscii all’aria aperta verso la mitica Francia. Imparai a memoria il numero della strada che avrebbe dovuto condurre a Parigi e mi lasciai andare felice a passeggio fra villaggi e villaggetti. Allora esisteva una simpatica e precisa abitudine: ad ogni uscita da città e paeselli, anche solo quattro case di campagna, era sempre presente un palo su cui erano appese grandi frecce di legno, blu, con dipinte in bianco sia il numero della strada sia l’indicazione del luogo. Oggi con le normative europee mi capita spesso di sbagliare e di molto la strada. Allora potevo divertirmi ad addentrarmi in campagne, lungo fiumi e corsi d’acqua, sicuro di ritrovare sempre l’indicazione della strada principale per arrivare a Parigi. Il mio sguardo errava felice in mezzo a collinette, campi di grano, pascoli, villaggetti di contadini con tanto di ponticello sopra piccoli corsi d’acqua ricoperti di tutto quello che la natura sapeva inventare. Dentro di essi sguazzavano pesci incuranti dell’uomo, anitre in compagnia di cigni, rane e sopra uccelli, libellule, farfalle e tutto ciò che poteva essere offerto come spettacolo! Ora anche i grandi fiumi della Francia risentono pesantemente dell’inquinamento, delle acque radioattive e soprattutto delle immense culture industriali. Dove una volta esisteva la vita con paesi piacevoli a vedersi, abitati da contadini in pace, animali e pesci, ora c’è quasi la sensazione di assenza di vita. Pochi contadini e pochi animali da cortile. Molte case abbandonate e con pochi nidi di rondini sotto i tetti. Le serrande semi aperte, in balia dei venti con scarsi interventi di manutenzione. Mentre al mio primo viaggio mi ero incantato a vedere enormi mandrie di bovini diversi per colori, tra cui predominava il bianco ed il nero, ora vacche tutte uguali, marroncine o bianche, quasi fossero il frutto di clonazione. Nelle enormi distese di verde con piccoli laghetti e corsi d’acqua, vedevo gigantesche sequoie, magari ricoperte da rigoglioso vischio. Sotto la loro ombra le mucche si ritiravano per proteggersi dal caldo o dalla pioggia. Ora si vedono sparute piante e pochi capi di bestiame. Le foreste che ricordo immense: ora le vedo con tristezza ammalate, fragili e senza vita: nemmeno un uccello che ci tenga compagnia. La civiltà, conquista dell’uomo presuntuoso e motivato solo dalla potenza economica, sta uccidendo anche la meravigliosa Francia. Comunque arrivai in giornata a Parigi e come mia abitudine mi inoltrai nel traffico. Verso le ore ventiquattro, incominciai ad avere sonno e con un “francese” piuttosto maccheronico chiesi ad un guidatore di taxi di farmi strada fino ad un buon albergo, che fosse pulito ed economico. Tutta la richiesta fu ripetuta a gesti finché venni invitato a seguirlo. Credo di aver attraversato almeno due volte Parigi, di qua e di là mentre gli occhi mi si chiudevano. Alla fine il tassista si fermò dinanzi al famoso hotel George V° . Trovai subito da dormire e lasciai auto e chiavi a disposizione del personale. Pagai il tassista e mi precipitai sul letto ancora vestito.
Appena riavutomi dalla stanchezza, mi resi conto dell’enorme cifra spesa e maledissi il tassista venduto ai grandi alberghi per ricavarne certamente percentuali di guadagno. Mi misi personalmente alla ricerca di qualcosa di più idoneo per me ed intanto mi godevo i costumi e le usanze dei parigini. La famosa “baguette” ed i mitici “croissants”. I negozi stile impero oppure colorati di giallo, rosso, blu proprio come in Olanda. Ammirai i grandi marciapiedi e la relativa facilità di parcheggio. Non vidi per nulla quel traffico caotico di cui si sentiva parlare. Anzi notai, rispetto al traffico italiano, buon senso, disciplina ed organizzazione. Non ebbi mai alcun problema per parcheggiare l’auto. Quando poi, per mia curiosità, volli sperimentare la sotterranea, ne fui entusiasta. I parigini avevano stilato una cartina piccola, da portafoglio, con ben evidenziato il nord, il sud, l’est e l’ovest. Il percorso era estremamente facile da capire e da subito mi sono perfettamente adattato. Purtroppo non succede con la metropolitana di Milano: qui i modernisti ad oltranza hanno travalicato ogni buon senso, tanto per cominciare, evitando di segnare i punti cardinali. La cartina francese mi dava indicazioni precise nel senso di marcia aiutato anche da freccette e riferimenti. Qui a Milano, la cartina serve quasi a nulla per chi non è di Milano. A Milano bisogna già sapere bene dove sono site le fermate. Altra meraviglia di Parigi, per me che venivo dalla provincia italiana, era costituito dall’enorme possibilità e facilità di reperire taxi quasi allo stesso prezzo sia della metropolitana che degli autobus, peraltro ingombranti e lentissimi. Poi la gentilezza dei francesi! Dove la trovi qui in Italia la gentilezza dei celti? Notai una piccola pensione in un’antica casa nei pressi di una stazione ferroviaria a pochi passi dalla Place De Clichy, dipinta dal grande Boldini e dalla quale si dipartivano le strade per la boutte di Montmartre oppure i boulevard della perdizione, Moulin Rouge e via discorrendo.
Dipingere durante il giorno era un’impresa impossibile per via del traffico. Mi ero organizzato per uscire all’alba, quando ancora viveva la notte ma la gente si era oramai diradata. Gli ultimi ubriachi venivano buttati fuori dai locali notturni e gli spazzini incominciavano a far scorrere l’acqua lungo i marciapiedi. Gli scopini versavano nel torrentello l’immondizia e l’acqua la trascinava dentro le fogne. Dipinsi molto queste scene ancora notturne e fissai sulla tela anche i bei negri, in divisa a righe bianche su fondo bluette. Disciplinati, silenziosi erano veloci ed efficienti. Pensai che in Italia avremmo dovuto sostituire almeno qualche milione di italiani con pochi neri, di bell’aspetto e molto volenterosi che non avevano paura di lavorare. In Francia essi erano assunti con contratto a termine rinnovabile.
In breve vi dico le esperienze che mi hanno colpito:
Il cuscino arrotondato di forma cilindrica lungo tipo "salamotto”, che si adagia giusto fra le spalle e la nuca: il meglio per l’artrosi, che mi è stata compagna fin troppo fedele quasi da sempre.
La colazione della mattina basata su caffè e latte e brioches croissant da “leccarsi le orecchie” come dice qualcuno e finalmente il pane, le baguettes. Ci vorrebbero Dante, Petrarca e Carducci per celebrare le qualità straordinarie della baguette.
I cinema: bellissimi, pulitissimi e frequentati da persone azzimate e profumate e soprattutto con un costo di biglietto bassissimo: mille lire, di allora. Comunque con mille lire di allora si poteva percorrere tutta Parigi con il taxi, con l’autobus e la metropolitana. Il popolo che fa finta di dipingere a Montmartre è costituito da bohémiens che tirano a campare. Le gallerie d’arte importanti sono inaccessibili per artisti che non appartengano al "gotha" degli ammessi. Logge massoniche o politiche o d’altro genere. Tutte le altre gallerie, site squallidamente una accanto all’altra nel rione latino, sono la più grande bufala mai esistita. Qui ti affittano un pezzo di muro dove dietro compenso puoi attaccare anche il tuo quadretto. La galleria rimane chiusa per tutto il periodo della mostra, salvo quando vai a ritirarti la tua operetta. Nessun vernissage. Nessuna critica d’arte. Niente di niente!.
Personalmente ho dipinto un buon numero di visioni parigine ma ho scoperto con entusiasmo la campagna, quella Francia che gli altri trascurano e che bisogna andare di proposito a scoprire. Ci vuole abnegazione e spirito di avventura: allora sì che trovi il "paradiso". Un giorno un pittore dilettante mi disse: “Vorrei andare a dipingere il paesaggio. Non so come fare. Mi dica lei come fare” - “Caro amico, se ha la possibilità, carichi armi e bagagli su un camper e vada all'avventura. Io le consiglio la campagna di Francia. Poi veda lei!". Questo programma non gli piacque. Voleva qualcosa di più vicino, di più facile e soprattutto senza impegnarsi troppo. Aggiunsi io: “Una volta si poteva dipingere nei dintorni di Legnano o poco più in là. Ora non più. Io cerco i miei soggetti in Sicilia oppure in Francia, almeno per quanto riguarda il paesaggio. "Veda di organizzarsi anche lei!”.
Rispose il dilettante: “Ma questo vuol dire avere tempo e dover spendere dei soldi!”. Lo guardai male ed esplosi: “Ma allora che cosa vuol fare? Non sa che l'arte è un'amante gelosa che vuole e pretende la completa dedizione fino alla morte?".
Il dilettante voleva fare arte con poco sacrificio e nessun impegno. Mi infuriai: “Che tipo di arte vuole fare se non ha nemmeno le idee chiare in merito a quello che desidera dipingere. Oggi l'arte è molto, molto di più di quello che la gente comune crede. L'arte oggi vuol dire intelligenza, cultura e dedizione e tutti i soggetti, compresi gli astratti, sono arte. Bisogna capire le sue ragioni profonde, che non è il copiare qualche cosa". Di fronte a persone così, perdo la pazienza. Mi girai e me ne andai, lasciandolo deluso.
A Parigi notai allora che i negozi non avevano orari fissi da rispettare come in Italia. Di notte, a mezzanotte, potevo accedere ai negozi che erano organizzati per far fronte alle esigenze dei compratori notturni. Di giorno alcuni negozi rimanevano chiusi ed altri aperti. Il profumo di cipolle fritte era una costante della città: era l’unica cosa che non amavo. Mio padre, quando ero piccolo, mi obbligava a mangiarle controvoglia e con la violenza. Io riuscivo a malapena a masticarne qualche d’una e poi vomitavo. Ho sempre odiato le cipolle, crude o fritte che siano. Una notte ho visto nella vetrina di un negozio d’alimentari una grossa confezione di paté d’oca, di cui sono golosissimo. Ne comprai una grossa quantità e mi ritirai cautamente nell’alberghetto che mi ospitava. Seduto ai bordi del letto, scartai il malloppo ed avidamente ne trangugiai una grossa porzione. Al contrario di quello in uso in Italia, questo francese era ripieno di cipolle. Mi paralizzai per l’orrore ed il disgusto; quindi violenti conati irrefrenabili mi costrinsero a vomitare tutto il contenuto dello stomaco. Incominciai a stare attento ai cibi francesi: bellissimi e ben decorati all’esterno ma ripieni di cipolle che sono per me come la “Kriptonite” per Superman.
Quasi tutti i dipinti di Parigi da me eseguiti, segnano le prime ore della mattina, dall’alba fin verso le ore otto-dieci. In provincia, assai lontano dai percorsi ufficiali, ebbene lì ogni ora era ed è buona, anche di notte. La Francia mi affascina tutt’ora perché il suo territorio è immenso rispetto alla popolazione residente. Le strade sono quasi tutte belle, comode e poco frequentate e nel corso degli anni ho apprezzato che qualsiasi piccolo villaggio ha il suo bello ed antico alberghetto per mangiare e dormire e quindi mi posso avviare verso l’interno senza avere l’ossessione di riuscire a pernottare. Il loro sistema a self-service o a buffet mi entusiasma. L’unico neo sono le camerette piuttosto piccole rispetto alla mia mole.
Trovai poi un posto fisso a basso costo poco lontano da Parigi, in una di quelle casette di legno, con annesso locale anche per gli ospiti ed una cucina centrale. Tutto in legno, tutto in modestia e simpatia, compreso i frequentatori fissi che vi venivano per bere e giocare a carte. Queste abitazioni si chiamavano “La chaumier”. Nei dintorni scorreva la Senna industriale, e a voler cercare, si trovava sempre un buon paesaggio. A Parigi si accedeva tramite la ferrovia oppure con l’auto. In pratica era una sistemazione a buon mercato che mi riparava dal freddo e dal caldo e mi metteva a disposizione la cultura della metropoli. Un poco come per Strà sul Brenta che mi permetteva a poco prezzo di essere a due passi da Venezia.In questi luoghi ho dipinto un buon numero di quadri.

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