mercoledì 12 settembre 2007

VEGGENTI

MODERNI INDOVINI – Verso i diciotto anni ho fatto la conoscenza di un sensitivo di nome Ruta. Mio padre era vigile urbano e questo signore faceva delle “tournèes” ogni anno per incontrare i suoi clienti abituali. Ogni tanto veniva anche a Legnano e poiché i miei erano fanatici credenti nella divinazione, invitavano a cena questa persona assieme alla sorella, piuttosto anziana e che lavorava credo in comune, forse all’ufficio tasse. In quel periodo io ero particolarmente depresso perché i miei contrastavano con ferocia la mia passione per la pittura e pretendevano da me profitti scolastici elevati anche se non amavo per nulla quel tipo di studi. La famiglia era interessata, quasi ossessionata, per il futuro matrimoniale di mia sorella, più anziana di me di tre anni. Mia sorella era la prima della classe da sempre e i miei si aspettavano per lei grandi successi anche nell’ambito matrimoniale. Personalmente non credevo agli indovini ed accettavo con rassegnazione quelle serate che si concludevano molto tardi perché, terminata l’abbondante cena, il sensitivo si prestava ad indovinare il nostro futuro. La sua tecnica era basata sul contatto fisico di un polso e piegato sul gomito di un braccio si stringeva la fronte con l’altra mano. Era seduto sullo spigolo di una sedia, accanto al tavolo, teneva in tensione la punta del piede in maniera da ottenere un movimento nervoso del ginocchio. Chiudeva gli occhi e si concentrava. Dopo qualche minuto di silenzio, durante il quale ascoltava delle voci interne al suo cervello, esprimeva la sua sensazione relativa al presente o al futuro della persona che stava esaminando. L’operazione veniva ripetuta per tutti i familiari ed io ero l’ultimo ad essere esaminato. Non ricordo più cosa dicesse per mio padre e per mia madre, che desiderava sapere se avesse potuto smettere di lavorare perché non ce la faceva più ad andare avanti in quell’ufficio dell’esattoria comunale, dove era quasi una schiava. Mia sorella sognava un matrimonio felice con un ufficiale di carriera o con un medico. Insomma era il sogno di tutte le donne che non accettavano l’idea di rimanere zitelle o di dover sposare una persona qualunque. Siamo negli anni cinquanta e il romanticismo per le donne di allora era fonte continua di sogni ad occhi aperti. Quando le amiche si incontravano parlavano solo di dottori o di balli con ufficiali in caserma. Era lontanissimo per le ragazze di allora pensare di sposare un semplice impiegato o, ancora peggio, un operaio. Le donne hanno sempre disprezzato i contadini ed operai e la zona in cui vivevamo era costituita quasi esclusivamente da operai. Le donne leggevano avidamente romanzi rosa, cosi detti perché erano pubblicati in dispense di color rosa. Allora ben poche famiglie possedevano la televisione e alla sera il divertimento per le donne era leggere degli amori di principesse dal triste destino, con il figlio dell’amore abbandonate o tradite o comunque destinate al convento. Ricordo anche prima di allora, negli anni quaranta il sommesso mormorio di mia nonna e di mia madre che leggevano queste romantiche storie e piangevano per le eroine tradite ed abbandonate. Che io sappia non è mai esistito un protagonista operaio o contadino che fosse degno dell’amore di una donna: piuttosto le eroine si innamoravano di un prete con tutte le conseguenze del caso. La parola operaio le terrorizzava! Dovevano essere principi, re, preti o proprietari terrieri. Purtroppo per mia sorella l’indovino non l’accontentava mai: le diceva che per lei il matrimonio era meglio che non ci fosse. Anzi le raccomandava di non illudersi e di non cercarlo assolutamente. Non era previsto dal destino nessun matrimonio ed era meglio che fosse così per lei. Non andava molto a fondo nello spiegare il motivo per cui sarebbe stato meglio per lei rimanere zitella. Naturalmente queste notizie rattristavano la famiglia che in seguito affermava che quell’indovino non valeva niente. Era una specie di pazzia quella delle mie donne: volevano trovare una cartomante, una lettrice di fondi di caffè o qualunque altro indovino che dicesse loro che vi sarebbe stato uno splendido matrimonio con un bel principe azzurro sul cavallo bianco. Invece niente da fare: nessuno vedeva nel futuro quello che le mie donne sognavano. Mio padre, verso la fine della sua vita, quando io per vivere lavoravo lontano da casa, anche a Roma, cercava di convincermi che non mi aveva permesso di studiare arte perché non c’era stato nessun indovino che avesse previsto il mio successo come pittore. Naturalmente io non lo contraddicevo perché sapevo bene che per lui c’erano poche speranze di vita. Nella realtà proprio quel Ruta, indovino, fin dal primo incontro, senza che io gli chiedessi niente in merito, aveva affermato con grande sicurezza che io sarei stato chiamato “maestro”, che avrei fatto il pittore e che mi avrebbero commissionato opere sul tema di città come Parigi. Anzi lui stesso mi aveva commissionato disegni su Bologna, che era la sua città. Io non gli ho mai creduto perché la mia situazione in famiglia era tale per cui non potevo pensare ad un avvenire così confacente alla mia natura. Veramente ero depresso perché non c’era futuro per me: i miei non volevano nemmeno ascoltare le mie aspirazioni. In casa non potevo dipingere perché l’odore dell’acquaragia e quella del colore davano fastidio a mia madre. Quindi dovevo dipingere all’aperto nelle campagne del Castello di Legnano e poi accatastare sul balcone e sul terrazzo i quadri dipinti finchè il tempo non li asciugasse. Chiedevo di farmi avere l’uso di qualche localino, vecchio, malandato, in una cascina, insomma un luogo ove poter sfogare la mia passione. Niente da fare: non volevano perché pensavano che io vi potessi portare delle ragazze, con la scusa del dipingere. Meno male che la famiglia Belloni, i cui figli erano compagni di scuola, mi accolse nella sua mansarda. Tuttavia non vedevo alcuna soluzione positiva alla mia passione. Avevo già tenuto due mostre personali al liceo scientifico di Legnano. Frequentavo i pittori di Legnano ma non si apriva nessuna prospettiva pratica. Invece tutta la famiglia smaniava per mia sorella che prendeva ottimi voti a scuola e godeva di borse di studio. Ogni suo desiderio era un ordine per i miei. Io invece ero il mascalzone, scansafatiche, incapace che faceva morire mia madre per la mia mancata adesione alle loro volontà. Oggi mi è difficile ricordare quello che l’indovino mi prediceva ogni volta. Ricordo così a spanne qualche cosa. Ad esempio ricordo che mi diceva che io piacevo molto alle donne e che avrei continuato a piacere anche se con il passare degli anni sarei diventato grosso come un toro e brutto. In realtà mi sono ingrassato molto nel corso della mia vita e la gioventù passa in fretta. Devo ammettere che per me non è mai esistito il problema di fare amicizia con le donne. Ogni tanto mi domando ancora adesso come mai, dovunque andassi, in ogni città; da Venezia a Roma, io riuscissi ad avere donne. Donne anche ricche che mi volevano sposare. Donne che mi volevano regalare addirittura una Ferrari, che mi avrebbero portato in dote appartamenti e denaro. Ho avuto avventure anche con donne più anziane, anche sul treno: insomma mi domandavo cosa mai le donne trovassero in me. Mia sorella invece non riusciva proprio ad avere ammiratori. Ricordo qualche episodio che mi fa sorridere e che ora vi racconto. Avevo un ammiratore, di cui taccio il nome, che mi considerava come una fidanzata. La cosa mi dispiaceva e mi lamentavo in famiglia del fatto che questa brava persona, ragioniere, impiegato di banca, mi trattasse come io avrei trattato una femmina: mi offriva pranzi, cene, cinema, mi faceva regali, sbucciava la frutta, mi offriva caramelle, insomma mi faceva la corte. Quando andavo a casa sua mi mostrava cassetti pieni di anelli, insomma ero sempre in imbarazzo. Qualche volta avevo sonnolenza e lui mi offriva il suo letto, elegante in un ambiente di lusso. Dicevo a mia madre: “mi pare di essere una donna e la cosa mi dà fastidio”. Quando chiedevo a lui di usare l’automobile per andare a spasso mentre io avrei procurato le donne, lui mi rispondeva che non era il caso. Vuoi mettere l’amicizia di due uomini con quelle troie di donne!”. Mia madre mi rispondeva che io ero sempre il solito. Quando trovavo un bravo ragazzo come amico, io facevo di tutto per offenderlo e mandarlo via!. Ebbene, ogni volta che veniva a casa mia, mia sorella si sedeva accanto a lui e gli accarezzava le mani con languidi sorrisi. Sperava che lui si interessasse a lei. Possibile che sia mia sorella che mia madre non si accorgessero che quel bell’uomo vestito elegantemente, inanellato e profumato faceva la corte a me? Un particolare comico: due amiche di mia sorella la spiavano dal loro balcone e a distanza di anni raccontavano il fatto che mia sorella accarezzasse le mani al mio spasimante! Tra l’altro lui diceva chiaramente che in una eventuale unione con lei sarebbero stati come fratello e sorella. Le donne quando si fissano su una persona non capiscono proprio niente. Una sera, mentre lui mi accompagnava a casa, gli dissi; “mi pare di essere una dama di corte. Per me hai qualche problema vai dal dottore e cerca di guarire!” Lui si offese e da allora non si fece più vedere. Aveva cambiato lavoro ed era andato a vivere a Milano. Comunque il successo che avevo sia con le donne che con i maschi non mi dava alcuna soddisfazione. Io ero fissato con la pittura e il non poterla seguire come stile di vita mi addolorava molto. Finalmente trovai una soluzione: me ne andai da casa e in seguito a Padova mi sposai. Tra le molte cose che l’indovino Ruta mi disse e che ora non ricordo più, mi sono rimaste nella memoria due affermazioni che riferisco. La prima fu che io come pittore sarei sempre stato in mezzo ai milionari e senza una lira in tasca. Ed è stato sempre così. La seconda è che avrei scritto una relazione tecnica sull’arte e che avrebbe interessato addirittura l’Onu. Di fatti ho scritto molto sulla decadenza dell’arte ma purtroppo fin’ora senza risultato alcuno. Mi disse anche che sarei stato il pittore delle donne e così è stato per molti anni. Disse anche, bontà sua, che ero un gran disegnatore ed avrei eseguito molte opere di grafica. Solo dopo più di dieci anni mi resi conto della verità delle sue previsioni.IL SECONDO MODERNO INDOVINO. – Avevo trovato lavoro presso la ditta Bassetti di Milano da poco tempo e lavoravo a Torino. Ritornando a casa alla fine della settimana, avevo come al solito l’incarico di portare mia madre e mia sorella a farsi predire il futuro, sempre sperando nel principe azzurro. Quel sabato pomeriggio le avevo portate a Milano, dalle parti di corso Vercelli. All’interno di un vecchio palazzo, ai piani alti, riceveva un personaggio formidabile. Era un anziano ebreo, di nome Chester, ex militare di carriera. Io non avevo alcuna voglia di farmi prevedere il destino ma essendo a disposizione delle mie donne, queste insistettero perché anch’io venissi esaminato. Prima naturalmente Chester esaminò mia sorella. Aveva da poco trovato l’innamorato e voleva conoscere tutto sul futuro. Anche questo indovino non previde gran che per lei. Ricordo poche cose che vedo di riassumere: “il marito sarebbe stato sempre lontano, forse per lavoro. Avrebbe avuto un figlio maschio che tuttavia sarebbe stato allevato da una donna anziana e non prevedeva per lui successi scolastici, né diplomi, né lauree”. Naturalmente le due donne interpretarono subito come un marito che avrebbe avuto incarichi di lavoro all’estero e poiché mia sorella insegnava pensarono che il figlio l’avrebbe allevato una “tata anziana”. Non sfiorò mai il loro cervello che la realtà sarebbe stata infausta, tanto erano pazze e sognavano il matrimonio. Quando toccò a me, l’indovino chiuse gli occhi e lasciò che la sua mano tracciasse dei nomi rapidamente su un foglio di carta. Le cose che mi disse le ho in gran parte dimenticate ma qualche cosa mi rimase in mente perché in realtà, a distanza anche di anni si verificarono. Cercherò di tracciare una memoria sintetica delle previsioni. Mi disse che per la prima volta in vita mia avrei potuto avere dei soldi in tasca. L’auto appena comperata, di seconda mano, mi avrebbe dato tanti problemi e mi avrebbe prosciugato tutti i risparmi personali. Il mio futuro prossimo sarebbe stato contrassegnato da viaggi in particolare passando vicino al lago di Garda. La ragazza che io avevo in mente non corrispondeva ai miei sentimenti. Anzi avrei sposato una certa Marisa ed avrei sofferto di diabete. La cosa che più mi colpì fu la previsione di un fischio continuo all’orecchio destro. Otto anni dopo, a Milano, già sposato con una figlia, seduto in poltrona, ripensai a questa previsione e tra me dissi: “ma se avesse detto un fischio alle orecchie, senza specificare la destra, avrebbe avuto maggior successo!” Qualche mese dopo, a Padova all’improvviso mi si chiuse l’orecchio destro. Pensai che fosse un disturbo passeggero ma non fu così: man mano che il tempo passava si instaurò nell’orecchio un tremendo rumore di segheria. Ero diventato completamente sordo in quell’orecchio e non mi disturbava il non sentire ma mi era insopportabile il rumore. Le visite mediche specialistiche mi gettarono nella disperazione: avevo avuto un ictus labirintico e non sarei mai più guarito. Avevo trent’anni e una vita di lavoro davanti a me e con quel disturbo ero veramente disperato. Piansi e raggiunsi il culmine dell’ansia. Marisa, mia moglie, dopo aver telefonato a diverse persone tra cui un medico di Legnano che mi conosceva fin da bambino, decise di farmi visitare alla clinica universitaria dell’ospedale di Milano, nei pressi del tribunale. Qui trovai un medico dell’ambulatorio, senza titoli accademici importanti, che mi consigliò due tipi di iniezioni. Un tipo agiva sui nervi e l’altro sulla circolazione del sangue. Ebbene dopo una settimana riacquistai l’udito ma il fischio mi rimase e ce l’ho ancora adesso, anche se mi sono abituato e a volte proprio non me ne accorgo più. Queste due esperienze mi convinsero che alcune persone, veramente poche, hanno questo straordinario intuito e dopo otto anni ritornai a cercare questo Chester che purtroppo era morto più che ottuagenario. ANCH’IO “INDOVINO “ – Per quanto riguarda la mia persona, posso riferire che in almeno due occasioni ho potuto rendermi conto che anche ai comuni mortali, in situazioni particolari, è possibile avere qualche percezione del futuro o del presente non conosciuto. La prima volta fu quando mia madre mi accusava di essere un mascalzone, perché non prendevo i bei voti come mia sorella e quindi la facevo morire! Dal profondo del cuore le risposi: “io sono stato costretto a studiare quello che non mi interessava e quindi il primo a soffrire sono stato io, anche se ho perso un anno solo per due incidenti stradali! Tua figlia va bene a scuola perché ha sempre fatto quello che le piaceva. Ma al primo inciampo lei cadrà e non si solleverà più!” E così è stato: dopo il fallito matrimonio è caduta in grave depressione psichica e non si è mai più ripresa, aggravandosi sempre più fino a sfiorare la paranoia con delirio di persecuzione”. La seconda volta fu a Sanremo. Avevo ceduto a mia sorella un‘auto nella speranza che l’impegno della guida la distraesse dalle sue manie di persecuzione e sentimenti neri. Tuttavia lei era totalmente negata alla guida e vane risultarono tutti gli insegnamenti che mi prodigavo di impartirle. Aveva ricevuto subito la patente di guida. Ma come guidatrice d’auto era un autentico pericolo: ho salvato diverse persone dall’investimento perché mi sono gettato con le mani sul freno: insomma ero estremamente preoccupato. Dovevo ritornare a Legnano e pensai di trovare una persona capace che la seguisse un poco nella guida. Mi rivolsi alla Fiat, sita verso Arma di Taggia. Entrato negli uffici domandai di una certa persona facendone nome e cognome. Questa persona si meravigliò che io la conoscessi ma io mai avevo sentito nominare il suo nome: fu un episodio molto significativo che io ho messo in relazione allo stato d’animo molto preoccupato per cui il mio cervello era riuscito a rintracciare da solo quel nome e cognome. Non ho mai avuto aiuti morali ed economici dai miei. Mio padre almeno ha confessato alla mia futura moglie di aver sbagliato tutto con me. Mia madre invece è sempre stata stizzosa e perché no: “cattiva” con me, mia moglie e i miei figli. Anche in punto di morte non mi ha perdonato nulla (che cosa poi io avevo fatto contro di loro non riesco a capirlo!). In punto di morte non mi ha voluto vedere. Sarà per questo che Gesù Cristo si è fatto torturare e crocefiggere per amore verso tutta l’umanità! Le donne sono a mio avviso terribili e non rispecchiano affatto la figura sacra della Madonna. Fin dall’antichità si sa che le donne erano capaci di fare a pezzi con le sole mani animali, uomini e bambini. Il loro furore teneva lontano i maschi dai riti di Bacco! Venivano chiamate Menadi o furie. Alcuni delitti recenti in cui si sospetta madri assassine nei confronti dei figli, nessun esperto di delitti ha mai fatto cenno alla furia delle Menadi. Come mai? Per ignoranza o perché vogliono mantenere intatto il culto della madre Madonna? Io penso che l’ambizione di mia madre è sempre stata l’idea del riscatto sociale. Sua figlia era diventata professoressa di lettere antiche, suo genero era un “professore” e quindi si sentiva socialmente appagata. Suo padre era un bravo falegname ma nel cervellino di donne di quel periodo un lavoro manuale era un offesa. Negli ultimi anni era arrivata a negare l’attività creativa e complessa e difficile di un bottaio e liutaio preferendo dire che era un operaio. Per mia madre l’idea che io facessi prima il viaggiatore di commercio e poi il pittore era una continua offesa. O il pittore era di successo altrimenti era un fallito! Quindi l’ambizione sociale l’ha condizionata tanto più che mia moglie e i miei suoceri non vantavano titoli accademici di sorta. Tuttavia la mia famiglia personale è riuscita con sacrifici a far laureare i figli mentre mia madre e mia sorella non sono riuscite a inserire il rispettivo nipote e figlio nella società. Mia madre ha investito tutti i risparmi compreso i miei stipendi giovanili per mia sorella e nipote. Frutto dei tempi: negli anni primi del secolo scorso i laureati erano la vetta scintillante di una borghesia ricca. E mia madre ambiva a questo traguardo! Avrei dovuto immaginare che madre e sorella disprezzassero la mia famiglia già appena celebrato il mio matrimonio. Mio suocero era un ex carabiniere ma evidentemente non era quello che la loro ambizione si aspettava. Appena nata mia figlia, ho chiesto a mia madre di venire a Milano per vederla: quando giunse alla stazione Garibaldi mi investì con parole d’odio accusandomi di averla fatta cadere dal momento che allora fuori della stazione la viabilità era dissestata. Poi volevano scappare da Legnano senza informarmi dove sarebbero andate e tante altre cose. Ma io ho sempre voluto bene alla mia famiglia d’origine ed ho sempre cercato di accomodare tutto. Solo alla fine della vita, mia madre e mia sorella mi fecero altra tremenda scenata accusandomi di aver vissuto a sbafo con i loro soldi e il loro lavoro e di avere speso tutto con le donne. Quella menzogna fece traboccare il vaso! Per coloro che pensano ancora che le donne siano Madonne vi rivelo una cosa mostruosa. Mia madre e mia sorella sono vissute aspettando la mia morte perché qualche ciarlatana di chiromante aveva forse detto loro che come io fossi morto, mia sorella e suo figlio sarebbero andate in America incontro ad una vita felice. Giudicate voi. L’ultima frase che pronunciò l’ultima volta che la vidi fu: “non sei neanche morto!” riferendosi evidentemente alle previsioni di qualche chiromante! Un dubbio maturato negli ultimi anni per capire l’odio nei miei confronti poteva essere che io non ho mai minimamente pensato a vendicare l’onore di quelle folli !!!!!!!!!!!!all’uso siciliano (vedi racconti precedenti). Comunque devo ammettere che pur amando il genere femminile vedo con terrore il loro potere.

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