venerdì 29 aprile 2011

PADOVA, VISITA ALLE ORE TRE DI NOTTE DI MIA MADRE


Dopo aver girato per quasi tutta l’Italia, paese per paese, frazione per frazione, per conto della ditta milanese Bassetti, dopo migliaia di chilometri, ero stanco di questa vita e da Padova telefonai a casa facendo intendere che ero stanco di questa “via crucis”. Mia madre pensò, che essendo io uno scansafatiche, un incapace, volessi licenziarmi dalla ditta. La mia famiglia mi considerava un “uomo da niente”. Un incapace che non voleva lavorare. La risposta telefonica di mamma fu lapidaria: “Devi lavorare; non vogliamo mantenerti, fannullone che non sei altro!” Volevo tranquillizzarla che il mio era stato solo uno sfogo, in seguito ad una vita errabonda, alla ricerca di negozi e negozietti che potessero vendere i prodotti Bassetti. Non mi fu possibile perché la cornetta del telefono della mamma era stata abbassata. Come al solito ero molto stanco e non ricordo nemmeno se avessi cenato: andai subito a dormire. L’albergo era in Padova in una piazzetta con la statua di Cavour, vicino al celebre caffè Pedrocchi senza porte, famoso per la storia del risorgimento italiano. Dormivo profondamente, quando il servizio notturno dell’albergo mi comunicò alle tre di notte che c’erano persone che mi cercavano. Tutto assonnato, scesi verso l’atrio e vi trovai con rammarico e sorpresa mia madre ed il futuro marito di mia sorella. Sul momento rimasi inebetito: cosa ci facevano la mamma e l’altro individuo a Padova a quell’ora? Uscimmo nella piazza e venni subito insultato da tutti e due: “Sei un miserabile fallito! Devi lavorare!” Ero ancora più sconvolto. Da Legnano a Padova c’erano circa trecento chilometri di autostrada non ancora terminata e rifinita. Perchè si erano scomodati ed avevano speso molto denaro per insultarmi. Lo sapevo da me stesso che dovevo lavorare. La mia famiglia mi aveva ripudiato già da tempo ed io dovevo cavarmela da solo. Avevo telefonato alla mamma perché speravo in una maggiore comprensione in un momento di stanchezza e di smarrimento. Il mio futuro cognato sbottò verso mia madre: “Te lo avevo detto che tuo figlio è un fallito!” A questo punto li pregai di lasciarmi dormire e che ritornassero tranquilli a Legnano perché sapevo bene che dovevo lavorare! L’ossessione di mia madre che io dovessi lavorare e mai dipendere da lei, anche per poco, la spinse a telefonare ai miei suoceri a Padova in questi termini:”Dite a mio figlio di non perdere tempo con la nascita del figlio e che vada a lavorare!”

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