lunedì 4 giugno 2007

A QUEI TEMPI…RICORDI DI VITA VISSUTA


Fortunato colui che in età matura, volgendo lo sguardo all’indietro nel corso della vita, si può rasserenare ricordando le molte spiacevoli situazioni superate. Allora potevano amareggiare ma ora fanno sorridere di soddisfazione: nonostante tutto ce l’ho fatta! Come quando a diciannove anni lavoravo dalla mattina alla sera e subito dopo prendevo il treno per Milano, dove frequentavo un corso di grafica presso l’ISIP in via Fabio Filzi. A quei tempi avveniva tutto a piedi e la cena consisteva in un “toast” mentre aspettavo che si aprisse la scuola dell’ENALC. Terminate le lezioni alle ore ventiquattro, mi incamminavo a piedi fino alla stazione Nord dove sostava il pulman che verso le ore tre di mattina mi portava a Legnano. Qui giunto in Corso Sempione, verso l’ospedale, mi sciroppavo almeno tre chilometri a piedi per arrivare alle case popolari di via Carlo Porta 56. Questo anche con la pioggia e la neve d’inverno. Coricandomi su una brandina in cucina, riuscivo a prendere sonno verso le tre e mezza, forse anche le quattro. Puntualmente alle sette del mattino seguente, mio padre spalancava le finestre e la porta a vetri per fare entrare l’aria gelida del mattino. Mi scopriva completamente affinché il freddo mi svegliasse. Mi versava acqua gelida sul corpo e passava accanto al giaciglio uno spazzolone elettrico rumoroso come un carro armato. Non contento mi faceva suonare nelle orecchie una sveglia terrificante e poi altro ancora finchè non mi mettevo in piedi e dopo i riti svelti del primo mattino, sempre a piedi, percorrevo tre chilometri per giungere vicino all’autostrada per Milano ed entravo in ditta a lavorare. Dovevo guadagnarmi da vivere e lo stipendio mi veniva totalmente sottratto da mia madre. La cosa umoristica sta nel fatto che ella, molti anni dopo, affermava che io avevo mangiato tutti i risparmi della famiglia con le donne. Aggiungo che per un mese ho fatto lo stesso percorso con una gamba completamente ingessata, in seguito ad una sospetta rottura del menisco al ginocchio sinistro. Ora mi piace dirmi: “ce l’hai fatta, nonostante tutto!”.
Molti anni dopo arrivato ormai ad una età avanzata, ripensando alla mia infanzia e gioventù, credo di aver capito il perché di molte cose.
Sono nato nel luglio del 1939, epoca in cui la massa delle persone tirava a campare pensando al lavoro e cercando di mangiare e vestirsi. Poche famiglie benestanti conoscevano l’arte e la pittura risultava quindi patrimonio culturale per pochi. La mia famiglia proveniva da una dignitosa povertà ed era abituata ad un duro lavoro. In quel periodo la superstizione era fortissima e tutti temevano le maledizioni. I miei avevano terrore per la maledizione che si diceva mio nonno siciliano avesse pronunciato contro i suoi discendenti maschi. Ricordo mia nonna materna, che pensando a ciò, piangeva rivolgendosi a me bambino ma io tuttavia non capivo e rimanevo sconcertato. Forse, per via di questa maledizione, mio padre pensò di arruolarsi nella milizia fascista e lasciare la famiglia senza una lira e senza lavoro, dopo aver fatto traslocare la famiglia da Verbania a Legnano, dove mia madre si diede da fare con coraggio a cercare lavoro. Mio padre odiava la nonna del lago e tutti i parenti e voleva disfarsene. Fu per la solitudine di mia madre che la nonna Maria si trasferì da noi per badare in particolare a me, che avevo poco di più di sei mesi. Non c’erano alternative: o morire di fame o lavorare prima in fabbrica e poi in esattoria. Abitavamo alle case popolari di via Carlo Porta cinquantasei. Tuttavia i primi anni furono per me veramente felici, sia a Legnano che a Intra dove nonno Pietro falegname mi incantava con il suo lavoro. I ricordi di questo periodo sono del tutto positivi. I guai incominciarono per me dopo la fine della guerra. Quando mio padre ritornò dalla vita militare. Devo premettere che lui era cresciuto senza padre, morto per tubercolosi polmonare. Era stato cresciuto da uno zio guardia carceraria ed aveva acquisito come metro di vita la disciplina rigida del lavoro carcerario e poi della caserma. Per lui non esistevano concetti affettuosi ne tanto meno carezze. Ricordo che fu sempre sprezzante dei miei gesti di bambino in cerca di affetto. Ricordo che tendeva ad impormi un atteggiamento militaresco, come stare sull’attenti, parlare solo se mi veniva concessa la parola e l’obbligo di stare fermo, proprio come se fossi un soldato. Non mi venivano concessi giocattoli salvo un cavallino di carta pesta da tirare con un filo e un cartone vuoto a forma di teatro senza marionette. Era evidente che pensava di fare il mio bene allevandomi con una rigida disciplina. Tuttavia sono cresciuto quasi sempre con la nonna materna che faceva lunghe code alla Cooperativa Avanti per farsi consegnare qualche foglio di carta gialla o blu su cui io potessi disegnare. A questo proposito vorrei far notare a tutti gli psicologi del mondo che un bambino non disegna mai ciò che gli fa dispiacere. Al contrario il bambino disegna solo ciò che gli piace e gli da gioia. Ho sempre avuto l’istinto per il disegno e per la pittura. Sognavo da sempre di poter diventare pittore. Questo mio sogno potè avverarsi solo dopo molti anni perché in famiglia l’idea del pittore era una cosa inaudita. I miei accostavano a questa idea il concetto comune ai più di “morto di fame” degenerato, scansafatiche e senza alcuna voglia di lavorare. L’esempio che mi portavano continuamente era quello di mia sorella, maggiore di tre anni e molto brava a scuola. Mia madre, che si era veramente sacrificata per allevarci in tempo di guerra, temeva che io diventassi un peso morto da mantenere come pittore. Non avevano alcuna stima delle mia qualità né di questa arte disonorevole. Fui costretto ad un ordine di studi che non amavo e mi fu costantemente intimato di pensare ad un lavoro onesto con il quale mantenermi. Quando ad esempio, ormai adulto, lavoravo a Padova come viaggiatore della Ditta Bassetti, per paura che desistessi dall’impegno di lavoro, mia madre venne con mio cognato nel pieno della notte ad impormi che “dovevo lavorare”. Così quando nacque mio figlio, telefonò a mio suocero ricordandomi che dovevo lavorare e quindi non dovevo perdere tempo per quella nascita. Non erano cattivi. Erano solamente terrorizzati che io dovessi essere in qualche maniera mantenuto.
Famiglie intelligenti e comprensive ce ne sono sempre state anche fra gli operai ma la mia era una famiglia dittatoriale e considerava utile e valido solo quel foglio che secondo loro rappresentava il continuo delle aspirazioni personali. Volevano una prole studiosa, senza grilli, senza personalità, ubbidienti come cani, che brillassero per i bei voti a scuola e non avessero strane inclinazioni, come l’amore per la pittura e il gioco. All’inizio del 1900 questi figli “balordi” venivano scaricati nei manicomi e dimenticati come degenerati ed onta per le famiglie per bene. Io ero uno di questi.
Oggi è molto forte lo scontro fra genetica e psicologia: l’uno nega il valore dell’altro. Solo gli psichiatri con formazione medica indicano la genetica come elemento assai determinante per la riuscita di una persona socialmente utile, negando di fatto la psicologia che afferma essere solo le cure e l’attenzione dell’ambiente a favorire gli individui. “La verità sta nel mezzo”, dicevano gli antichi romani e tra qualche decina d’anni conosceremo probabilmente la verità. Tuttavia posso affermare che il sottoscritto nonostante tutto l’ambiente sfavorevole, è riuscito a costruirsi una famiglia e dare sufficiente serenità ad essa ed ai figli.
Invece mia sorella, che aveva ricevuto maggiori cure e soddisfazione, è ridotta ad essere una povera infelice.
Non aveva rapporti con la realtà: abitavamo alle case popolari con 260 famiglie e pensava che esistessero solo nove bambini compreso noi due. Durante i bombardamenti sopra Milano, vedendo i razzi di illuminazione contraerea, era convinta che fossero palloncini colorati perché non si sentiva il rumore degli spari: eravamo a ventisette chilometri di lontananza da Milano. Per tutta la vita mi ha odiato, sia da piccolo che da adulto, dimenticando che io avevo fatto da padrino al neonato ed affermando che la immaturità del figlio era dovuta a me. Diceva che ero un montato e che non valevo niente, capriccioso e pieno di sicumera. Tuttavia i suoi insulti erano poca cosa rispetto agli epiteti e le continue minacce di morte da parte di mio padre. Mia sorella pensava che io fossi la causa dei guai del suo fallito matrimonio ed era convinzione che l’appartamento di Legnano fosse solo suo, nonostante la legge, poiché era intestato ai due genitori. Continuava a frequentare cartomanti, maghi, ecc… era convinta, assieme a mia madre, che appena io fossi morto, loro sarebbero andati in America, Argentina ed Australia dove potevano vivere ricchi e felici. Aveva una depressione continua, profonda con atteggiamenti non accettabili dalla società.
Bisogna capire che negli anni trenta-quaranta la popolazione era estremamente ingenua, superstiziosa, fedelissima ai preti, dei quali temeva le maledizioni. La popolazione ignorava completamente il vangelo la cui lettura era riservata solo al clero. Era una popolazione che credeva alla suddivisione in classi sociali: i demoniaci, figli di Satana erano i comunisti mentre i clericali erano i benedetti da Dio. La mia famiglia era convinta di possedere i figli come esclusiva proprietà della quale decidere, per la vita e per la morte. Era convinta che la sua volontà era l’unica cosa che contava: la patria potestà era totale ed assoluta dittatura. La volontà era la fonte di tutto e guai ad opporsi ad essa. Ecco perché perdono tutto. La gente sapeva solo che Gesù era nato povero e morto in croce. Le persone erano devote solo ai Santi e alla Madonna. Di tutto ciò che Cristo aveva detto non sapevano e non sanno ancora oggi nulla, come “amate i nemici” e i “sepolcri imbiancati”.


PSICOLOGIA
Ci sono due scuole, fra le tante, contrapposte. Una deriva da Platone e dalla chiesa cattolica, convinta che sia lo spirito o l’anima a modificare oltre che a servirsi del cervello. L’altra materialistica che deriva da Darwin per cui è il cervello che forma e modifica il pensiero, come in antico affermava Aristotele. Egli diceva che il feto iniziava a possedere un principio di anima all’età di sei mesi e che quest’anima moriva con il corpo.
Io sono convinto, per mie esperienze premorte, fin dalla prima infanzia, che quella che noi chiamiamo anima sia il prodotto della maturazione del cervello e che si manifesti in energia cosciente, destinata a continuare con tutta la nostra personalità anche dopo la morte. In quattro occasioni, dai sei mesi ai sette otto anni ho sperimentato l’esistenza del mio spirito fuori del corpo, anche se per brevissimo tempo. Io ho tratto questa conseguenza: 1° l’energia ha la maturità e sensibilità dell’età in cui avviene la separazione – 2° l’energia come tutte le energie degli altri defunti sono invisibili e non esiste la possibilità di comunicare – 3° - per il limitato periodo a me riservato, l’unica osservazione che ho potuto registrare è la serenità, la libertà, la curiosità e la totale assenza di dolore. Sono d’accordo con Aristotele: è il corpo che crea l’anima. Questa però non muore con il corpo ed ha ulteriore vita propria. Per tutti i tipi di psicoanalisi vale il metodo Socratico (altro grande filosofo greco del periodo di Platone ed Aristotele, prima di Cristo). Tuttavia questo metodo può essere inficiato dalla maestria dello psicologo il quale riesce a strappare le informazioni che lui stesso si era già prefigurato. Il successo dell’analisi è legato quindi a convinzione dell’esaminatore. Se la personalità in analisi è debole si può rimanere suggestionati e l’analista può vantare un successo. Non credo assolutamente che questa suggestione mista ad ipnosi possa guarire l’ammalato. Anche Socrate riusciva a far risolvere problemi di matematica e geometria a persone stupide ed ignoranti. Socrate voleva dimostrare che l’anima era eterna e si era reincarnata in quella povera persona. “Vuol dire che costui aveva imparato molto prima di nascere, in una vita precedente, la geometria e la matematica!”. Ciò è pericoloso specialmente per gli ingenui,con personalità infantili. Si può guarire? Non credo proprio. Sono convinto che una laurea in psicologia garantisce decoro, lavoro ed anche buon guadagno. Tutto andrebbe bene se gli operatori fossero realmente all’altezza e praticassero “protocolli” collaudati internazionalmente. Temo che ogni psicologo pensi e lavori secondo le proprie convinzioni provocando danni. In passato qualche operatore ha provocato il suicidio di parenti accusati di pedofilia sui figli e nipoti. Qualche psicologo furbo addirittura non interpreta i sogni del paziente ma chiede a lui di farsene interprete. E’ un modo disonesto per far soldi facilmente. Infine questi psicologi, incaricati dalla società di vegliare su di essa e consigliare rimedi, conoscono i progressi della ricerca scientifica della fisiologia genetica del cervello? Per mia scarsa esperienza, con pochi di loro e quindi senza voler esagerare, ritengo che alcuni siano prevenuti ed ignoranti. La laurea in psicologia per me è insufficiente. Spero di essere in errore e di non avere mai bisogno di loro. Sempre disposto a riconoscere di essere io nel torto e loro nella verità.

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