venerdì 5 ottobre 2007

STILISTI DI MODA O DADAISTI?

SARTI PER SIGNORA – ARTISTI O DEMONI?

Sarti, artisti o inutili sovvenzionatori dei produttori di tessuti? Moda simbolo della libertà dell’occidente o degenerazione pericolosa della società? Alcune osservazioni critiche le ho tratte dalla ENCICLOPEDIA ILLUSTRATA DEL COSTUME di Kybalovà, Herbenovà, Lamarovà edito nel 1977 da “librerie, Accademia s.p.a.” Proprio in questi giorni è esploso il caso di un manifesto che rappresenta il corpo nudo di una giovane donna anoressica. C’è chi grida allo scandalo per aver evidenziato un corpo quasi “scheletro” e chi sostiene che tale corpo dovrebbe convincere le giovani donne della pericolosità della “magrezza” voluta dai creatori di moda. Questo problema rientra nella maturità o immaturità del sesso femminile. Le donne insistono per arrivare al comando della politica ma io mi domando se effettivamente questa smania abbia in realtà qualche sostanza. Quindi necessita una analisi doppia: la prima se sia il caso di sostenere a spada tratta i creatori di moda e la seconda se il genere femminile sia in grado di gestire non solo i propri interessi ma addirittura i problemi di una nazione. Cominciamo a sbarazzarci di una errata convinzione maturata a Zagabria nei primi anni ’80 e cioè che i sarti siano artisti. Io ero stato incaricato da un direttore di un Istituto Italiano di Cultura di invitare ad esporre un “creatore di moda”. La creatività sarebbe veritiera se i sarti vestissero la maggior parte della popolazione femminile, che con l’età avanzata e la genetica, non costituiscono certo il modello adatto all’eleganza di manichini vestiti delle sfilate. Su donne giovani ed anoressiche qualsiasi straccio stravagante può acquistare dignità ed attenzione. Specie se le sfilate avvengono in ambienti di lusso con riflettori e musiche. Accuso quindi tutto il settore della moda di creare problemi gravi psicologici nel vastissimo pubblico femminile che non appartiene alla tipologia delle modelle ufficiali. Un vero artista dovrebbe saper vestire donne dal sedere basso e dal peso sopra i cento chili. Allora si potrebbe parlare di artisti. Tutte le stravaganze delle collezioni di moda non servono per nulla all’umanità. Anzi si potrebbe ravvisare il reato di plagio e una fonte di costante, reale depressione nell’esercito numerosissimo di signore avanti negli anni e formose. Il guaio è che lo stato non ha persone capaci di giudicare e concede benefici economici a questi “demoni” che distruggono la serenità della massima parte delle donne. Ancora una volta devo sottolineare che le donne non hanno solidarietà tra loro né sufficiente sensibilità, altrimenti farebbero sciopero ad oltranza. Invece l’esercito femminile, pur disprezzandosi, continua a comperare riviste dove le creazioni di moda trionfano e creano moda. Riporto alcuni brani di sociologi esperti di moda, al termine dei quali parrà evidente che la moda femminile serve alla causa del capitalismo occidentale e non già a migliorare le condizioni morali e psichiche della maggior parte delle donne.“…………….. infatti, mentre la moda si presenta nel corso della sua storia attraverso processi evolutivi tendenzialmente regolari alle abitudini, usanze, necessità dell’epoca, ora pare che trionfi la follia, l’originalità a ogni costo, lo spreco di tessuti strani e costosi, il tutto per colpire e nulla per vestire. La maggioranza delle sfilate di moda sono l’espressione di una volontà che non ha più nulla a che fare con la funzione del vestire. I sarti moderni, chiamati artisti, ricoprono queste scope di modelle con artifici per nulla pratici e per nulla utili ispirandosi a volte malamente a opere d’arte picassiane: invece di curare l’abbigliamento utile a presentare in pubblico anche persone dalla natura sfavorita nel fisico, mirano solo ad esalare certi tessuti costosissimi e per nulla utilizzabili nella vita quotidiana e nemmeno nei ricevimenti pubblici ed ufficiali dove è di rigore il classico come anche la pettinatura. Non pare quindi azzardato supporre che la moda, nei fondamentali aspetti che oggi la caratterizzano, possa essere accostata ad una inutile costosa imitazione, maldestra, dell’avanguardia nell’arte per cui le sfilate paiono fini a se stesse senza sviluppi per la moda pratica che in teoria dovrebbe migliorare l’aspetto dell’umanità. Caratterizzano una tipologia di persone per nulla legate alla realtà dell’umanità. E’ infatti con l’avvento della società capitalistica che si fa coincidere l’insorgere di quella specie di ossessione per il nuovo, il diverso, l’originale ad ogni costo per cui la moda dell’abbigliamento rappresenta uno degli aspetti più vistosi di questa neonata mania. Se poi teniamo presente le ricerche storiche sull’argomento, che comprendono anche i due ultimi secoli, i cambiamenti che tanto si fanno sentire in breve volgere del tempo appariranno modeste varianti di un modello in una evoluzione a volte parossistica se non addirittura pazza. Appare quindi evidente a tutti che la moda oggi non serve a vestire ma tutt’al più a reclamizzare un giro d’affari non del tutto chiaro. Se le forme dell’abbigliamento si sviluppano secondo una logica propria, autonoma, ciò confermerebbe come le ragioni, attraverso le quali ogni novità si impone, sia da paragonarsi a tutta quella genia di giornalisti, critici d’arte che invece di parlar chiaro contro i regimi politici vogliano fare del “dadaismo” anche con gli stessi fini. A promuovere questo sistema e la sua annessa retorica è ovviamente la società dei consumi, con l’esigenza di trasformare gli oggetti dell’abbigliamento, da beni di consumo originariamente durevoli, in prodotti di rapida usura, almeno psicologica. Pare che lo scopo di questa moda sia quello di offuscare la coscienza economica dell’acquirente che viene illuso di poter trasformare la sua persona e la sua classe sociale in un sogno, con un velo di immagini, di sensazioni atte a creare un simulacro dell’oggetto reale sostituendo al tempo fisico dell’usura un tempo sovrano, libero di autodistruggersi e spingere l’acquirente ad una “compulsività” per cui ne traggono beneficio solo i produttori della moda stessa. Di fatti, appena sorto, il sistema si rende autonomo, ligio soltanto alle leggi della sua struttura interna come qualsiasi altro sistema di segni. Da tale punto di vista la moda si presenta quindi come un linguaggio vero e proprio, una ideologia creata e imposta a tutti dal capitalismo: responsabili le riviste di moda, i giornalisti che invece di fare critica beatificano. Infatti per imporre la “novità” la letteratura della moda costruisce un mondo nel quale possono realizzarsi desideri e aspirazioni del consumatore, desideri suscitati, alimentati dagli stessi mass-media. In questo astratto universo, dove tutti sono giovani, colti, belli, magri, longilinei, non lavorano e sono dediti alle più piacevoli occupazioni, gli oggetti della moda si presentano di volta in volta necessari, insostituibili e rinunciarvi costituirà una menomazione mentre acquistarli assumerà valore di promozione sociale. La retorica della moda si basa insomma sulla strumentalizzazione di certe costanti aspirazioni dell’individuo difficilmente realizzabili nella pratica della vita. Le donne pensano di piacere di più all’altro sesso e di assumere con l’abito una personalità diversa dal momento che la depressione insita in loro le fa considerare sempre inferiori alle modelle della carta patinata. La moda quindi è una forma ansiogena che spinge a comperare, a spendere nella speranza di migliorarsi ma non è così. La moda crea disagio e depressione. Proprio come vuole la critica d’arte da Picasso in avanti.

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