giovedì 29 novembre 2012

IL CAVADENTI




I giovani non possono nemmeno immaginare che negli anni Quaranta esistevano ancora cavadenti ambulanti. Alle case popolari, pochi metri davanti alla cooperativa Avanti, ogni tanto arrivava un ometto, deciso e sicuro di sé. Aveva in dotazione una sedia di paglia, un asciugamani grande da mettere al collo del paziente, una o due tenagliette, forse del disinfettante. Il primo paziente era cortesemente invitato a sedersi, magari con la guancia gonfia. Nel frattempo curiosi e malati facevano capannello. Lo spettacolo si faceva attendere perché l’ambulante voleva che si diffondesse la voce del suo arrivo. I mal di denti sono ed erano assai frequenti, quindi i clienti non mancavano. Appena giudicava che il pubblico fosse sufficiente, invitava un paio di volenterosi a trattenere fermo sulla sedia il poveraccio di turno, che smetteva di lamentarsi ed incominciava a sospettare che si preparasse qualcosa ancora peggiore del suo dolore. Rizzava il capo ed incominciava a roteare gli occhi. Quando sentiva le mani dei volenterosi poggiate sulle spalle in una pressione coercitiva, in un raptus di terrore, si divincolava e tentava la fuga. Tuttavia gli assistenti volontari sapevano che la loro opera doveva essere energica proprio per il bene del paziente e si davano da fare anche con le ginocchia a pressarlo sulla sedia. Il cavadenti intanto era pronto: in una mano l’attrezzo e nell’altra qualcos’altro. Quindi un ordine secco e si poneva addirittura in ginocchio sulle gambe del paziente.“Turategli il naso” ordinava in un comando secco. Il malato tentava di scrollarsi di dosso l’energumeno e gli oppressori ma non riusciva più a respirare. Come apriva la bocca ecco il dentista che introduceva la pinza e zac, fuori il dente. Un fiotto di sangue usciva da quella bocca malandata assieme ad una serie irripetibile di parolacce e bestemmie. L’asciugamano serviva a tamponare il sangue, che veniva pressato in un tentativo di soffocazione. Dopo qualche minuto di pressione, se il paziente non era svenuto, l’ambulante osservava la gittata sanguigna controllando se poteva considerarsi normale oppure no. Qualche tamponamento e poi un buffetto sulla guancia ed il paziente era servito. Proprio non ricordo se il dentista usasse qualche anestetico o disinfettante. Ricordo che il poveraccio, rimessosi in piedi, si premeva la bocca con il fazzoletto. Le bestemmie duravano ancora un momento e poi ecco apparire un debole sorriso: il nemico era stato debellato. “Sotto un altro” e così via per tutta la mattina. Qualcuno si faceva consegnare il dentone e se lo rimirava come un trofeo ed infine metteva nel cappello dell’operatore la cifra stabilita. Il coro dei presenti era fatto di “Oh, Madonna, Signur!” e la folla aumentava fino al completo esaurimento dei denti malati.

RACCONTO TRATTO DA "ODIARE PER VIVERE" NEL MIO BLOG

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